La memoria dell'acqua.

Legno di susino : ogni cerchio del legno un "tempo" di memoria chimica.

Legno di quercia: memoria a lungo termine.

La stradina del bosco.
 Anni fa fu formulata un'affascinante teoria scientifica sul fatto che l'acqua conservasse memoria delle cose. Non so essere più precisa, ma subito si prese spunto per dire che forse per questo funzionava l'omeopatia, perché l'acqua, usata per sciogliere e dinamizzare i rimedi, conservava memoria della particolare energia  con cui era venuta in contatto, diventava veicolo di un'informazione.  Si riprese a parlare delle acque benedette, delle fonti miracolose, anche quelle acque avevano forse memoria delle apparizioni della Madonna e degli
eventi miracolosi e si comportavano in un modo speciale, senza farsi corrompere, conservavano un messaggio di guarigione. Cose davvero affascinanti, che se non sono vere, fanno comunque pensare. La memoria, per noi che viviamo immersi nella quarta dimensione, quella temporale, e possiamo percorrerla in un solo senso, ci fa conservare almeno per un pò tutto ciò che continuamente ci sfugge, l'istante  attuale che appartiene subito al passato e si allontana a grande velocità. Ci serve, ci piace ricordare, ci insegna. Eppure siamo stati capaci di istituire un ricordo ufficiale dell'Olocausto solo moltissimi anni dopo che era avvenuto. Era stato troppo, tutti i limiti superati, troppa gente uccisa, troppo dolore, troppa indifferenza, troppo grande la colpa, troppa facilità nel compiere un delitto epocale. 
Forse io ero stata fortunata, il mio babbo non aveva voluto dimenticare, da subito, e mi aveva dato presto da leggere "Se questo è un uomo", "La tregua" , il "Diario di Anna Frank", libri di testimonianza, ma anche opere di alta letteratura, che mi piacquero immediatamente, perché raccontavano la realtà. Ero una bambina seria, riflessiva e non mi spaventavo leggendo, però avevo spesso pensieri  da grande,  come se avessi avuto  un'altra vita che non ricordavo, da cui provenivano turbamenti e angosce che normalmente una bambina non ha. Credo che anche  la mia mamma si inquietasse  davanti a certi miei pensieri. Più avanti mi diedero da leggere il "Diario di Hiroshima" e  "Treblinka" , la storia di un campo di concentramento in cui, con dedizione impiegatizia, si pianificava lo sterminio, si studiava come stratificare i cadaveri, avendo scoperto che, per la composizione chimica dei corpi che varia con l'età, quelli degli anziani bruciano meglio.
Erano gli anni sessanta e con il boom economico tutti volevano in fretta lasciarsi alla spalle quel periodo  carico di orrori. Ognuno aveva vissuto i suoi, il mio babbo era stato per due anni in un capo di lavoro in Germania, prima a Wiezendorf poi ad Amburgo. La mia mamma aveva assistito al ferimento e alla morte di parenti e conoscenti durante il passaggio del fronte, quando era sfollata nel paesino di Palazzo del Pero, vicino ad Arezzo.
In particolare una zia, che fu presa una sera dai tedeschi e fu ritrovata violentata e uccisa, con la gonna tirata sopra la testa e cacciata in bocca, senza riuscire a sapere se fosse proprio lei, dopo che il cadavere era stato una decina di giorni e notti d'estate nel bosco.

In questi piccoli campi ho ritrovato bossoli di mitragliatrice.
Il mio babbo non voleva dimenticare, era convinto che noi ragazzi dovessimo conoscere quello che accaduto, che era anche il nostro passato.
Ma erano appunto gli anni sessanta, e tutti volevano dimenticare, non interessava neanche  fare giustizia, punire i crimini di guerra, io non l'ho mai sentito dire da bambina, si rinunciava e basta. C'era la mitica figura di Simon Wiesenthal, che continuava ad inseguire i criminali di guerra, nel nome della Giustizia. Ma in Italia tutte le carte che riguardavano le numerose stragi, episodi di rappresaglia, con le testimonianze raccolte dalle truppe alleate,  furono chiuse in un armadio  e questo fu girato con le ante verso un muro, se ne vedeva solo il retro, e fu dimenticato lì, in un'oscura stanza anonima di un Ministero. Anche questa è una storia che sembra inventata.  Fino a quando qualche anno fa qualcuno si chiese "Fammi vedere che c'è qui dentro.." O forse  pensò, conoscendo la vicenda, che era venuto il momento di spalancare l'armadio della vergogna.
Ma questa memoria che sembrava perduta fa parte di noi. Come per la memoria dell'acqua alcuni studiosi hanno scoperto che  le vicende vissute diventano chimica del nostro corpo, si incidono sul patrimonio genetico e lo cambiano. Le emozioni positive e negative diventano un messaggio biochimico, la storia non passa invano. Gli uomini e le donne che vissero l'orrore poi continuarono a vivere, a lavorare, ripresero un'esistenza più normale e fecero l'amore con i loro compagni, concepirono dei figli, e nell'ovulo che si sviluppava c'era anche un pò dell'orrore vissuto. Nel bambino che cresce, anche ora, sta il segno della guerra, dell'odio, della paura, nelle cellule viventi che lo formano. Le cellule ricordano  l'abisso, l'orrore, lo ricordano anche quando la persona è piccola e resta sconcertata da pensieri e sogni da adulta, che sembrano non appartenerle, provenire da un'altra vita. Le ultime generazioni sono quelle più segnate dalla depressione. Una mia amica tedesca dice che la storia della seconda guerra mondiale per i tedeschi è un grave peso, conscio e inconscio, una grave colpa da portare, un segno nell'anima delle persone e della nazione intera.