LA POTATURA DEGLI OLIVI.

Con mio marito abbiamo quasi finito di potare gli olivi . Ne abbiamo  un centinaio coltivati su terrazze, in un'appezzamento di circa un ettaro di terreno. Sono disposti come  un tempo, tutti sul bordo esterno del campo, lungo il muro a secco che contiene e delimita la terrazza. Li mettevano così perchè nel campo coltivavano cereali, soprattutto grano oppure erba medica, così avevano olio e pane, oppure olio e cibo per gli animali. Questa cosa però complica tutte le operazioni, perchè una parte dell'olivo rimane esterna e poco raggiungibile, è pericoloso andarci con la scala, è difficile raccogliere i frutti e ora è difficile potare. In certi casi abbiamo deciso di semplificare e buttar giù con la motosega le parti meno raggiungibili. Sono passati alcuni giorni e  mi fanno male le braccia e le spalle per l'uso continuato di forbici e seghetto. Mio marito ha rotto due lame  dei seghetti, che erano già usurate, che ora si devono sostituire. Si lavora bene, come sempre, con gli attrezzi che funzionano.
La potatura è un lavoro che facciamo da soli da più di dieci anni, in un altro podere venivano degli operai pagati per questo, che qui chiamiamo "potini". Sono molto veloci e sicuri di sè, ma non tutti lavorano bene, spesso "pelano" gli olivi , li rapano a zero . Noi abbiamo frequentato un corso della Coldiretti, tenuto da una agronoma che conosco, la Iole Baldi,  e dal suo compagno, che ci ha dato i rudimenti fondamentali. Serve a far sì che i proprietari degli olivi non si scoraggino e intervengano da soli, senza spendere in personale esterno.
Così ogni anno, con un pò di presunzione e un certo timore, ci accingiamo all'opera.

Abbiamo imparato abbastanza bene , ma una certa sfiducia di fondo nelle mie capacità riaffiora ogni anno e passo i primi giorni a lamentarmi sottovoce, "Ahimè , ahimè - oppure- Feu feu !!" Mi viene da piagnucolare perchè all'inizio mi pare di non capirci niente. Li sogno la notte e vedo le forcelle dei rami che ho tagliato. Ahimè! Poi passano i giorni, vado più veloce e mi rassicuro. Mi pare di aver fatto un buon lavoro.  Io e Mauro letichiamo sempre nel corso della potatura,  io dico che lui toglie troppo poca roba e lui dice che io taglio troppo. Sempre uguale. Deve essere questo, invecchiare.
Il lavoro degli olivi sembra una cosa seria e sensata. Le campagne risuonano di rumori di rami schiantati, motoseghe, fruscii di foglie, seghetti all'opera. Tutto molto organizzato. In realtà, come dicevo in un altro post dei tempi della raccolta, è tutto assurdo. Dietro l'olio c'è un lavoro esagerato, che riusciamo ad eseguire solo in parte. Dopo la potatura ci sarà da raccogliere i rami, recuperare il legno buono per la stufa e bruciare il resto, concimare e lavorare il terreno, ricominciare l'eterno lavoro di pulitura dei greppi eccetera eccetera eccetera. Lo so che eccetera non si scrive, ma ce n'è un sacco di eccetera. Se si fa il conto alla fine non si riprendono minimamente le spese fatte, anche se non si considera il nostro lavoro come  un costo. Morale della favola, produrre l'olio è una cosa da matti. Solo dei matti ci si possono mettere,  dicono che i costi dell'olio le aziende li pagano producendo il vino, per il quale hanno messo in piedi un baraccone di marketing che permette loro di ottenere ricavi impensati fino a 25 anni fa.
Almeno col vino guadagnano. Queste riflessioni le faccio solo da poco, perchè prima mi pareva un dovere /piacere, questo degli olivi, su cui non era necessario porsi domande..


Potare gli olivi è una cosa faticosa ma molto bella.  Siccome gli olivi, dalla famosa gelata dell'inverno 1985, non sono più ad un tronco solo ma a più tronchi, cerchiamo di conservare una punta per ogni tronco e poi lasciare che la pianta si allarghi verso il basso mantenendo di sotto quasi tutta la fronda. 
In questo modo la pianta produce anche in basso dove è più facile cogliere e c'è meno necessità di salire sulle scale. Qualche foto sarà utile più delle parole. Quest'anno c'è tanto da togliere, perchè l'annata piovosa li ha fatti infittire molto. Ogni olivo sembra una piccola cattedrale. Mentre si pota intorno cantano gli uccelli e io, che conosco le piante, ma  conosco meno gli uccellini, resto incantata dai loro numerosi e diversi richiami. E' un lavoro che richiede tempo, di più per noi che non lo facciamo da sempre . Mentre lavori, pensi. Sarebbe meglio staccare la mente e lavorare in pace, senza avere il ronzio dei pensieri. Sarebbe meglio non pensare che ormai è un lavoro sganciato da qualunque logica economica, e forse da qualunque logica, un lavoro che va eseguito con pazienza, intelligenza e il tempo che ci va . Quando si fanno queste cose si rientra in una realtà quasi eterna, che ha una scansione immutata almeno da centinaia d'anni, una cosa che esiste ormai perché ci sono tanti matti che la praticano, ma saranno sempre meno, perché ci sono sempre meno giovani a cui piace questo antico lavoro, che fino a qualche anno fa era ben pagato, ma ora, tenuto presente l'aspetto antieconomico, si preferisce abbandonare gli olivi.

Girando per le campagne più inospitali, terre alte e aride, ma fredde in inverno, si trovano pezzi di bosco dove affiorano qua e là olivi inselvatichiti, perché molti anni fa si preferiva coltivare olivi anche dove era difficilissimo pur di avere un pò di buon olio. Ora c'è il supermercato e lassù ha ripreso il predominio il bosco, poi non ci vive più nessuno. Ho l'impressione che altra gente tornerà a fare l'olio, o un altro di questi lavori agricoli per produrre buon cibo, ho l'impressione che siamo vicini ad una svolta, che il cibo così ottenuto non sarà un raro e costoso prodotto di nicchia, ma un cibo vero per tutti i giorni, come è per i prodotti del nostro orto. Non un gioiello, più di un gioiello, cibo.  Il nostro olio è speciale, ha il sapore e le qualità di un medicamento non solo per il corpo, così ci sembra . Dico il nostro olio, ma è lo stesso per l'olio di tutti quelli che s'impegnano come noi. Per ognuno il proprio olio è il migliore, ci si identifica, perchè nell'olio ci va molto di noi .

Lavorando negli olivi, arrampicati sulle scale d'alluminio che si spostano con i colpi di vento, penso che è diventato un lusso fare queste cose, perché non ci ripaga abbastanza, e chissà se ce lo potremo permettere a lungo, ma è un lusso anche per il motivo opposto, che siamo dei privilegiati a poterlo fare, a passare del tempo all'aperto, in mezzo alle piante e ai segni della presenza degli animali, che sono poco distanti, nascosti, e davanti ad un bel panorama limitato dalle sagome delle colline. Lo facciamo come chi celebra un rito antico, ed è artefice di un paesaggio umanizzato e culturale, ma naturale, perchè anche noi apparteniamo alla natura. Come api, come vespe, come certi uccelli, modifichiamo il mondo per adeguarlo ai nostri bisogni, ma questa è una cosa non troppo invadente, un segno garbato, che scompare appena smettiamo di ripetere il gesto.