la morte di L:

Come si fa a raccontare una storia senza invadere la privacy di chi la vive ?  Avrei bisogno di condividere tutti i pezzi di questo puzzle che ho messo insieme, che non formano un disegno compiuto. Compare qualche pezzo di una fotografia per forza incompleta eppure forte e marcata, così tanto da far immaginare  quale sarà la fine della storia.
E la fine è questa: domenica  5 , alle due del pomeriggio, di questo agosto rovente del 2012 che toglie il fiato e la voglia di far qualunque cosa, il nostro amico L.  è salito sul tetto, forse per non essere visto dall'altra persona di famiglia che era in casa in quel momento, forse per essere sicuro di non sopravvivere, e si è buttato di sotto.
Pensavo in questi giorni che mi pare di essermi chiusa in un guscio negli ultimi anni, di essere diventata "anaffettiva", cosa di cui mi hanno accusata le mie figlie un paio di volte, eppure questa notizia, che mi ha comunicato mio marito per telefono mentre ero al lavoro, mi ha sconvolto profondamente, mi ha provocato un grande dolore, pur senza stupirmi.
Un breve articolo sul giornale locale ha messo un sigillo sulla vita di L. definendolo un depresso .
Sigillato bollato e messo in una bara: archiviato. Anche io, quando leggo "depresso" di qualcuno che non conosco tendo ad archiviare, la depressione sembra tanto diffusa e comune! Eppure dietro la depressione ci sono sempre molte cose, può esserci la perdita del lavoro, o un comportamento imprudente che ti fa cadere in rovina, una dipendenza (gioco, droga, alcool), una malattia, propria o di un familiare. Per noi che conoscevamo L. è impossibile archiviarlo così. Naturalmente non posso parlare della vicenda complessa che lo riguarda, perché è anche la storia della sua famiglia, che esiste ancora e dovrà sopravvivere, e di sicuro interpreterebbe male ciò che io potrei scrivere . Eppure sarebbe bello poter raccontare tutto ciò che si fa per affrontare una situazione, con le migliori intenzioni, e non si dovrebbe fare, e come si intrecci il passato proveniente da due direzioni per convergere in una sola e comporre un intrico di problemi e dolore grande e invisibile all'esterno, e come una persona se ne faccia carico in solitudine senza cercare aiuti e se ne faccia annullare .
L. è comparso nella nostra vita forse una quindicina d'anni fa . Mio marito, creatura sensibile capace di guardare nel cuore dei suoi amici maschi, lo ha portato a casa nostra ed è diventato suo amico. L. aveva già una storia dolorosa alle spalle . In seguito sono venuti a cena ogni tanto , lui e la moglie, ma spesso veniva lui solo, mangiava con Mauro e con le ragazze, perché io lavoravo, piaceva tanto al nostro cane Chicco, portava la macchina fotografica e faceva foto molto belle ai fiori del giardino, in quelle fasi esplosive primaverili o autunnali, quando si riempie di vita . Ci ha regalato un suo computer, ha costruito per noi il computer su cui scrivo adesso. Ci ha fatto compagnia, con una presenza discreta e piena di comprensione di cui è capace solo chi soffre o ha sofferto. Piaceva alle nostre figliole, era un uomo mitissimo e gentile, fumava tanto, ma quando accendeva la sigaretta, anche nel pieno dell'inverno, usciva di casa per non disturbare. Non disturbare era una sua regola di vita. Una sera venne a trovarci che io avevo appena ritirato in casa le piante delicate per l'inverno. C'era una pianta grassa, un cactus spinoso, che durante l'estate aveva cacciato fuori due nuove palle finendo per assomigliare ad un fallo. Quando lo vide si mise a ridere e non finiva più. Era raro vederlo ridere così liberamente. Portava un peso esagerato, un peso esistenziale che non  voleva dividere. Quando non stava bene semplicemente spariva, non rispondeva al telefono, si rendeva irreperibile. Poi riappariva, dopo settimane o mesi, col suo sorriso triste . Non dava spiegazioni, non raccontava nulla, era con noi e sorrideva. Ultimamente era più di un anno che non si faceva vivo e   Mauro e io avevamo pensato spesso a lui, che stava  chiedendo troppo a se stesso e non poteva resistere a lungo. E' strano come siamo capaci di vedere le cose degli altri dal di fuori e le nostre restino sempre nebulose .
Penso che ognuno di quelli che lo hanno conosciuto abbia una sua immagine e una sua verità su L., la moglie, la madre, la suocera, i parenti più lontani, i colleghi . Ognuno vede degli altri solo ciò che è capace di interpretare, ciò che gli rimane familiare, così per esempio un uomo che lavora con fatica perché oppresso da problemi insolubili può sembrare a qualcuno un vagabondo, ma non è così . Ognuno proietta sull'altro parte di sé così l'altro resta alla fine sconosciuto e inconoscibile. E ora se ne è andato in una giornata caldissima di agosto e qualcuno ha detto che è stato il caldo, non lo sopportava . Caldo e depressione, ma la vita non è così semplice. Fa comodo pensare che il caldo e la depressione l'abbiamo ucciso, è semplice e lineare, permette una rapida archiviazione. Allora perché mi sento un pò responsabile di questa morte, io ed altri che l'abbiamo conosciuto? Il confine fra la libertà personale e l'autodistruzione, a volte, è fine come un capello. La cosa più vera l'ha detta mio marito, che a volte la vita ci regala degli incontri speciali con persone taciturne, che non appaiono all'esterno per le creature preziose e delicate che sono e si deve ringraziare la vita per avercele regalate, anche se per un tempo breve.