Bisogna crederci 2

“Una cosa accade 
solo se ci credi davvero, 
ed è crederci 
che la fa accadere.” 
- Frank Lloyd Wright - 


 Fra me e G. c'era un rapporto preciso, misurato, ci siamo sempre dati del lei e dopo i primi tempi anche Mauro gli si affezionò molto. A Mauro dava del tu e lo trattava sempre con affetto, quasi come un figliolo, perché aveva capito che Mauro non è competitivo con gli altri uomini, che gli credeva e lo ammirava, e G. lo aveva accolto fra le persone a cui voleva bene. Non erano tante queste persone, in generale G. era proprio come un gallo minaccioso e collerico, disposto facilmente ad arrabbiarsi. Non gli era venuto niente facile nella vita, aveva dovuto conquistarsi tutto, ma la sua predisposizione alla pittura e alla scultura era così evidente che quando da adulto aveva frequentato l'Accademia di belle Arti subito gli avevano riconosciuto il suo talento. Aveva conosciuto e avuto rapporti con molti dei pittori più importanti del suo periodo, mi ricordo Annigoni, Guttuso e Sassu, ma poi  non gli interessava niente di frequentare l'ambiente per farsi notare e tornava a lavorare con le mani in campagna, a fare i suoi incroci genetici, a coltivare pomodori e frutta. Quando gli parlavo dei miei cani mi diceva che c'è il cane dominante, che ha bisogno di un padrone forte e autorevole, e c'è il cane recessivo, che non trasmette neanche i suoi geni e ha un carattere mite e per lui non interessante, a lui interessava lottare, con i cani, con le persone, con la vita. Gli interessava la gente che gli resisteva, gli si opponeva, la gente con una personalità. Ancora faccio questa distinzione fra me e me quando incontro persone nuove, mi chiedo se una persona sia recessiva o dominante.
G. aveva dei figli e una famiglia del tutto normale e tranquilla, diversamente da lui. L'aveva guidata col pugno di ferro e le aveva garantito i mezzi economici, anche se poi si era lasciato lo spazio per tutte le sue sperimentazioni. Teneva la sua famiglia, di cui era giustamente orgoglioso e geloso, e tutto il resto in due compartimenti stagni che non dovevano venire a contatto. I suoi figlioli, per quel che ne so, erano ragazzi beneducati e poco portati per gli eccessi e le stravaganze, e da grandi avevano lavori e famiglie stabili. Sempre per le sue competenze di genetica diceva che dei suoi figli nessuno poteva essere come lui, che la genialità saltava una generazione e si sarebbe ripresentata nei nipoti. Quando ebbe i primi nipotini  li esaminava e indagava, con lo stesso atteggiamento che aveva a volte con i cuccioli dei suoi cani, per spiare i segni di quello che sarebbero diventati, certo che avrebbe trovato fra i suoi discendenti uno che gli somigliava molto, da non amare più degli altri, ma da seguire di più, per dargli qualche dritta, visto che sarebbero stati uguali. Non so se gli sia riuscito. Ad un certo punto spostammo il negozio e non ci fu più modo di vedersi quasi quotidianamente come prima, ma quando ero libera e ero in città, nelle ore in cui sapevo che poteva essere allo studio, andavo a trovarlo e ricevevo ancora pezzi di quel racconto intricato che era la sua vita. Dicevo: "Bisogna sedersi e scrivere, scrivere date, tempi certi, una griglia e poi dentro, tutte queste cose!"
"Si farà, mi diceva, si farà!"

Intanto aveva usato molte delle sue risorse per far costruire  una casa in campagna da una impresa edile che aveva realizzato il grezzo, il resto lo voleva finire da sé. Andavamo a trovarlo con le bambine e c'era il cantiere aperto e una confusione indescrivibile, scoraggiante a vedersi. Ferri, macerie, materiale edile, erbacce, un orto molto incasinato perché lo faceva mentre costruiva e tutto questo solo per metà giornata, l'altra metà lavorava per procurarsi le risorse per tutto quello e la famiglia. Lavorava con lui un amico più giovane, un uomo alto e mite. Recessivo, l'aveva  bollato G. , ma gli voleva bene. Erano tutti e due abbastanza sporchi e sudati, presi dal lavoro ben oltre il tramonto del sole. Con questo amico, chiamiamolo Paolo, G. ha vissuto tutte le fasi di una vera amicizia, fino al rifiuto, fino a scacciarlo e poi a accoglierlo di nuovo. Paolo lavorava con G. gratis,  aveva un enorme affetto per lui,  un attaccamento come ne scatenano questi personaggi molto forti, con quest'energia che è come quella dei vulcani, o meglio come quella di certi fenomeni cosmici, stelle di neutroni o buchi neri, che attirano a sé gli oggetti vicini, che poi distruggono. Le stelle di neutroni sono piccole e densissime e non lasciano andare neanche la luce, difatti non brillano.

G. attirava le persone in questo modo e dovevi conservare una certa distanza nell'averci a che fare per non farti male e non essere stritolato dalla  sua potente personalità, eppure non avevi mai l'impressione, come a volte accade, che ti risucchiasse energia, anzi ne eri sempre arricchito e ritemprato, come se potessi attingere anche te alla sua fonte. Un giorno che ci andammo stavano impastando il cemento.
"Devo costruire degli archi e avevo chiesto il prezzo della pietra serena tagliata, ma non me la posso permettere. Le pietre le faccio da me. "
"E come fa a farle da sé?" gli chiesi curiosissima.
 " Faccio una miscela di malta da restauro, in certe percentuali precise e ho costruito le casseforme, ce la colo dentro e faccio le pietre."
Allora ero una purista integralista, stupidamente, lo riconosco, e la pietra finta non la potevo concepire, ma quella volta rimasi ammirata. Faceva le pietre una ad una, con pazienza, aiutato da Paolo. Non ci potevo credere che ce la facesse, ma ogni volta che andavamo a trovarlo  il lavoro era avanzato e lui aveva scolpito, in pietra serena vera, dei bassorilievi da inserire negli archi. Fra le pietre finte e quelle vere non si notava la differenza!

Per questo dico che bisogna crederci. G. ci credeva, credeva fermamente in se stesso e era certo di farcela e arrivare in fondo, non solo alla mole enorme di lavoro, ma anche alla soluzione dei vari problemi, strutturali, idraulici, di tiraggio dei camini, di ogni altro genere, che gli si presentavano via via che procedeva. Io ero abituata in una casa dove il mio babbo, pur essendo un tecnico, non cambiava neanche le lampadine e non sapeva aggiustare una presa di corrente. Per me G. era un fenomeno e penso che lo fosse realmente, in una società dove pochissimi sanno lavorare con le mani collegate al cervello, al massimo sono competenti in un ambito molto ristretto, chiamano sempre gli "esperti" e non sanno valutarne il lavoro. Per la sua casa realizzò dei bassorilievi che per me erano le sue opere più belle, meraviglioso quello che raffigurava la cacciata dal Paradiso dove comparivano i cavalli, una delle sue passioni.

Un giorno in una visita allo studio trovai un nuovo quadro con una Madonna, soggetto del tutto insolito per lui. Disse che aveva avuto con Paolo, di ritorno dalla campagna, un incidente che per un pelo non era stato mortale, e che nel momento in cui erano sbandati lui aveva avuto la visione della Madonna e aveva evitato il peggio. La macchina era distrutta ma loro erano vivi. Tornata a casa  raccontai a Mauro che G. aveva visto la Madonna. Mauro serissimo disse che non dubitava per niente delle sue parole, che un tipo come lui era in contatto diretto se non col soprannaturale almeno con la dimensione degli archetipi descritta da Jung, e di sicuro aveva visto la Grande Madre o la Madonna. Per questo, per ringraziarla, l'aveva dipinta.

Intanto eravamo venuti a abitare qua e io avevo iniziato le mie peregrinazioni lavorative nei ristoranti, in città ci capitavo poco, a trovare G. mi ripromettevo sempre di andarci un'altra volta e nel frattempo passavano gli anni. Un giorno vidi i manifesti di una sua mostra, ci andammo con la mia figliola più piccola e facemmo il giro fra i quadri appesi riconoscendo tante opere. Alla fine andai dalla ragazza all'ingresso e chiesi in che orario era possibile trovare G.
"Oh signora, anche lei come tante persone non sa che G. è mancato ..." e mi disse la data in cui era morto. Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Eravamo stati suoi amici, conoscevamo sua moglie, ma non i figlioli se non per una conoscenza del tutto occasionale e abitando lontano ci erano sfuggiti i manifesti mortuari, così non l'avevamo potuto neanche salutare.

Quando il mio suocero era in ospedale capitò Paolo, che era stato suo amico e conosceva anche il mio suocero. Gli dissi come ero rimasta male di non aver saputo della morte di G. , di non essere andata al funerale. E così lui mi raccontò che gli era stato vicino fino alla fine, quando ormai la casa era completata e ci era andato a vivere con la famiglia,  i grandi lavori erano terminati,  G. aveva più di ottant'anni ed era malato e praticamente gli era morto fra le braccia. Era stata veramente una grande amicizia. G. aveva regalato dei quadri a Paolo, ma niente se non l'amore può giustificare quello che Paolo aveva fatto per lui. Ricordo la nostra ultima visita, aveva spostato l'orto e l'aveva separato da tutto il resto, in una zona esposta a nord, quello era il suo ultimo regno, contornato di viti da cui progettava di ottenere un vino specialissimo, e pieno di piante cariche di frutti insoliti.
Paolo mi disse che dopo la sua morte tutta una zona del terreno intorno alla casa, dove lui aveva lavorato negli ultimi anni, e che finché era vivo non si poteva toccare, era stata sgombrata. Nessuno avrebbe saputo che farci, cosa tirarci fuori da tutta quella roba. Disse Paolo "Hanno portato via due camion grandi carichi di ferro." E anche quest'enorme quantità di metallo gli sembrava un ultimo segno dell'eccezionalità di G. Potrei raccontare ancora tante cose di G. e forse un giorno rintraccerò i figli e chiederò il permesso di farlo, di raccontare le numerose zone in ombra, che lo rendevano ancora più umano ed eccezionale insieme. Credo che Dio, se c'è, ami di più chi ha combattuto con la vita di chi l'ha mandata giù come una minestrina di dado.

In una delle prime visite in campagna mi aveva dato una menta piperita fortissima e invadente. E la convinzione che bisogna crederci, questo è il primo passo per realizzare vasche ( per pesci rossi,  libellule, ninfee e serpenti), muretti, giardini dell'Eden e una vita come un'opera d'arte.