David Golder, di Iréne Nemirovsky, la figlia dell'ebreo errante

Iréne Nèmirovsky è stata riscoperta in tempi recenti. Grande scrittrice in Francia nella prima metà del secolo scorso, deportata a Auschwitz e uccisa, è stata a lungo dimenticata. Io personalmente ho comprato per caso "Suite francese" in un supermercato al mare. Cercavo una lettura per la breve vacanza e il libro, pubblicato da Adelphi, mi sembrò una buona idea. L'ho riletto tre volte in fila, poi ho letto altri libri suoi e penso finirò per leggerli tutti. E' complicato parlare di lei perchè è una specie di ebrea antisemita. Scrivo questo come provocazione, ovviamente. Nei suoi testi si trovano un pò tutti i luoghi comuni sugli ebrei usati dai detrattori, ma sono scritti da una donna ebrea. Una che nasce ebrea e che poi racconta la propria storia in modo critico, con un'analisi così acuta e penetrante da essere dolorosa. I suoi libri sono pubblicati da Adelphi ma anche da Newton Compton e in questa collana c'è una prefazione, un vero saggio di Maria Nadotti che è bello quanto i racconti che introduce. Irène Némirovsky, si capisce a leggerla, è la figlia dell'Ebreo Errante. Lei si sente così. Qualcuno ha letto da ragazzo la storia di Ivanhoe? C'era anche Isacco, l'Ebreo Errante, fra i suoi personaggi, e sua figlia Rebecca. L'Ebreo viaggia, non ha casa, non lo vuole nessuno, e la figlia ne subisce la sorte. O anche il Mercante di Venezia, di Shakespeare. O altre figure di ebrei che compaiono nelle fiction televisive e ripropongono gli antichissimi stereotipi di cui non si riesce a liberarsi. Un anno fa parlai con una signora polacca che lavora qui come badante. In un lungo discorso finì per parlare degli ebrei e ci fece capire come in certi posti d'Europa gli antichi pregiudizi siano ancora vivissimi e continuamente alimentati. Non serve citare Primo Levi e Natalia Ginzburg, non li conoscono. Irène Némirovsky scrisse i suoi libri prima dell'Olocausto e anzi ne rimase vittima. E' una scrittrice prolifica. Una volta un caro amico mi disse che certe vite sono dense, fitte di cose, perchè la mente non sa, ma l'anima sì, che il tempo concesso è breve. Mozart per esempio. La vita di questa scrittrice è così, piena e densa di esperienze, di libri e finisce molto presto. Nelle storie di Irène c'è il viaggio come fuga dalla miseria estrema, dal dolore, dalla persecuzione, verso una salvezza sognata prima che progettata, desiderata talmente che il desiderio diventa una febbre e una perpetua inquietudine. Il libro  h la fece conoscere a  26 anni fu "David Golder". Lo inviò ad un editore e questo signore lo lesse in un tempo brevissimo, come ho fatto io, lo divorò e poi cercò l'autrice per accordarsi sulla pubblicazione. Quando vide la giovanissima donna sorridente rimase sorpreso, perché David Golder non è un libro sorridente, i suoi argomenti sono il denaro, il potere e la morte. Il  protagonista è un uomo di sessantotto anni, malato, ebreo. Sembra impossibile che una ragazza tanto giovane sappia qualcosa della condizione di un uomo così.  Un libro sorprendente, avvincente, pieno di odio, dice Maria Nadotti, terribile, con già dentro tutti gli elementi base delle sue narrazioni, con i quali lei farà i conti per tutta la vita, esplorando e percorrendo sempre lo stesso labirinto. La capisco perchè mi trovo a fare lo stesso. La storia che ci è stata consegnata in sorte deve essere percorsa mille volte prima di essere superata, se poi questo davvero succede. Il giovane ebreo incontrato da David Golder in nave prima di morire è irrequieto e divorato dal desiderio di vita e di denaro. E' in viaggio verso queste cose. Le troverà, perché gli ebrei, nell'esperienza di Irène, sono capaci di creare fortune dal nulla. Iniziano come venditori di carbone, di stracci, di torrone, di tappeti, li ritrovi dopo dieci anni, ricchissimi, con i propri nomi e quelli delle mogli cambiati, irriconoscibili, ai vertici della finanza. Non hanno scrupoli di alcun genere, la prima legge è salvarsi e arricchirsi, dopo viene tutto il resto.
David Golder, colpito da un attacco di cuore, è allo stremo, disteso sul letto. La moglie Gloria arriva a reclamare i suoi diritti, non ha pensato a lei, vuole che lui le lasci del denaro, vuole essere tutelata perché sa che lui morirà. L'uomo grida con la poca voce che ha, "Cosa vuoi ancora? Sei più ricca di me, ti ho coperto di gioielli, hai un patrimonio addosso e non ti basta? Solo quelle perle che hai al collo valgono un milione! Non ricordi quando eravamo poveri? Allora non ti chiamavi Gloria, eh? Havkè, Havkè!" le grida il suo nome ebraico. Il suono sembra un grido rauco di corvo. Havkè è diventato Gloria, nome adatto alla moglie di un uomo ricco e potente. Havkè è un intero mondo, dimenticato, cancellato, sul quale si è stratificata la fortuna di David Golder.
 Tutti i personaggi, anche quelli ricchi, scappano continuamente da qualcosa, fosse solo la noia. D'altra parte la vita di Irène è segnata da due viaggi precoci, quello per fuggire dalla Russia in Finlandia, poi a Stoccolma, sotto la minaccia dei pogrom, lontano dalla rivoluzione russa, e l'altro per raggiungere la Francia. Si sentirà francese, scriverà in francese, avrà padronanza di molte lingue, ma resterà un'ebrea che appartiene solo in parte al luogo in cui vive, che pure ama. Con "i tratti di chi non è del luogo"( Il signore delle anime). Questo viaggio della vita finirà ad Auschwitz.

Pensavo che c'è di che essere arrabbiati con quelli che l'hanno arrestata perché ebrea, deportata e uccisa. Era stata per breve tempo una scrittrice famosa, poi tutto è stato dimenticato finché le figlie non si sono impegnate di nuovo a farla conoscere, a riscoprirla. Mi chiedo come sarebbe stato se avessimo potuto leggerla presto, da ragazzi, così come abbiamo letto Natalia Ginzburg o Primo Levi, se ora potessimo leggere il resto di "Suite francese", lasciato incompiuto.  Le camere a gas ci hanno rubato moltissime cose, hanno sottratto moltissimo al mondo.

Viaggiatore perpetuo è anche il padre banchiere, sempre assente per "affari", viaggi lunghissimi in paesi lontani che lo rendono immancabilmente ricco.
Irène inserisce nelle sue storie  lo schema primario della sua famiglia: un padre assente ricchissimo che guadagna e perde soldi con la stessa facilità, perché gioca; una madre anaffettiva che resta sola e ha costantemente un amante, mantenuto con indifferenza dal marito, che ne tollera la presenza in casa fingendo di non sapere quello che è (l'amante è parte dello schema familiare); e infine una figura materna sostitutiva, quella della governante affettuosa da cui impara il francese. Questo schema è presente ne "il vino della solitudine", che racconta l'infanzia, ma poi si ripete negli altri libri, a volte solo un pezzo, a volte per intero. C'è un amante della madre nel Vino della solitudine, ed è un giovane parente tollerato dal padre, c'è un amante in David Golder, quasi un altro marito, e Gloria, la moglie, mentre David sta quasi per morire, non troverà di meglio che rivelargli che neanche la figlia è sua, ma dell'amante. Vive da 25 anni con quest'uomo, mantenuti entrambi in modo sfarzoso da Golder. Sembrano situazioni estreme inventate, eppure mi è capitato di ascoltare storie simili. A volte passa una donna per strada, una donna qualunque, e nasconde una storia come questa,  una volta mi capitò di conoscere una maestra, e seppi da una che la conosceva che aveva relazioni focose con uomini sposati, era sposata anche lei, senza figli, ma poi ne ebbe e mi chiedo sempre come si fa a mantenere in piedi situazioni di questo tipo, cosa passa di tutto questo ai figli. Nelle storie di Irène le cose non sono molto nascoste, sono piuttosto esplicite, note, appena velate da un perbenismo che non vuol sapere...Non c'è giudizio nei suoi testi, si tratta di una società senza religione, quasi senza morale, non c'è né la religione ebraica, anche se ci sono gli ebrei, né tutto l'apparato  filosofico della chiesa cattolica, con tutte le catene di peccato e sensi di colpa, che siamo abituati a sottintendere. Però lo sguardo della bambina Irène e poi della donna è uno sguardo etico, che si astiene dal giudizio, ma osserva impietoso. In David Golder la figlia Joyce è in viaggio col suo giovane amante, sono in un piccolo albergo e stanno mangiando, lei dice "Sei capace di affettare il pane?" "No. " Risponde lui. "Allora chiamiamo la cameriera."
 Non c'è bisogno di dire altro, questa gente ricchissima, che vive senza regole seguendo solo il proprio piacere è inetta, incapace perfino di tagliarsi il pane, diversa dalla generazione famelica che l'ha messa al mondo.