agricoltura anacronistica

Seguo un blog, nuovo per me, Agricoltore anacronistico. Mi piace molto.  Il mestiere di coltivare la terra è quello con cui gli uomini sono diventati civili e che continueremo sempre a fare, ma per molti aspetti resta anacronistico,  se non altro per un aspetto importantissimo, che è molto difficile, facendolo, procurarsi il denaro sufficiente per vivere. Anche altri lavori sono  così, ma ci sono, per essi, alcune tutele, per cui, anche ammalati, anche se c'è un incidente, si sopravvive finché l'emergenza non è superata. 
Gli agricoltori, se sono piccole aziende familiari, devono stare sempre bene, perché non c'è che una o due persone a lavorare, e se ci sono bestie, quelle mangiano tutti i giorni, e devono essere pulite e accudite nelle tante cose da fare per tenerle in dignità e in salute, tutti i giorni, anche a Natale. Si sa. E anche se c'è una pioggia molto forte ci sarà da uscire a bagnarsi perché è con la terra che si lavora e si vive, e i fossi devono essere liberi. Succederà anche in certi giorni che ti fanno male le ossa oppure hai già la febbre. E tante altre cose che non mi vengono in mente.

Qualche volta mio marito torna in casa con la spesa e mi dice che ha trovato delle arance ad un prezzo proprio basso, in offerta! Se non sono arance sono altri prodotti alimentari. Subito mi viene da pensare a chi ha coltivato e raccolto quelle arance, o  lavorato quel formaggio, e le facce dei lavoratori neri che dormono nelle baracche ( qui in Italia, non in Africa) o all'aperto me le vedo davanti e penso cosa c'è dietro quel prezzo basso. Io credo sinceramente che le  cose che dovremmo pagare un prezzo equo sono i prodotti alimentari. Se costano troppo poco c'è qualcosa che non funziona, per chi li produce e per chi li consuma.
Penso alla carne di pollo, che costa davvero poco: ma cosa c'è dentro in termini di medicine, ormoni e rapidità di crescita della bestiola è veramente meglio non saperlo. Come fa a farti bene e essere un buon cibo la carne di un animale cresciuto in un capannone con luce artificiale e una densità di popolazione altissima? E' possibile mangiare tutti un cibo davvero buono ad un prezzo equo, o per mangiare tutti dobbiamo per forza tutti un pochino avvelenarci e avvelenare la terra? Nonostante quello che assicurano le autorità. Sono domande da un milione di dollari.

In questi giorni l'"agricoltore anacronistico" raccontava di cosa fa per evitare di inquinare e chiedeva di partecipare al dibattito. Siccome scrivere una risposta per forza breve sul suo blog mi risulta difficile, ne scrivo qui una più lunga, come l'argomento richiede.  Chi legge, legge, chi si annoia smette, d'altra parte questo è il mio ripostiglio dei pensieri e dei ricordi. 
Ho parlato spesso di questo genere di cose e segnalo i post : quello sulla mosca olearia, quello sulla grandine, quello sul pozzetto sgrassatore, questi tre ( uno, due e tre), questo sugli agricoltori custodi, questo sull'eco-nomia. Non voglio mica obbligare a leggerli. Ma siccome questo blog è diventato un mare, è difficile orientarsi. 

Qui vorrei ricordare altre cose della mia esperienza che è comunque parziale. 
Dibatti, agricoltore anacronistico, cerca il confronto, ma non eccedere. Potresti accorgerti, come mi sono accorta io, che alcuni, sottolineo alcuni, che  accettano di dibattere con te, e magari contestano la tua scelta dura e bella di vita, perché non abbastanza assoluta, non del tutto perfetta, non ne sanno niente, e non avrebbero mai la tua costanza e il tuo coraggio, e nonostante questo ti criticano e vengono a cercare il pelo nell'uovo tuo, quando per sé fanno solo teorie.
Parla con queste persone, ma non lasciarti mettere in discussione, dopo un pò lasciali perdere, prima possibile. Non vale la pena. Si tratta di persone il cui vero mestiere è teorizzare una vita intera; qualcuno di questi può farsi perfino un piccolo orto, di quaranta metri quadrati, in cui calcoleranno la distanza precisa fra le file degli ortaggi e faranno tutte le consociazioni e semine col calendario biodinamico possibili, ma non cambieranno niente della propria vita veramente e non si metteranno mai in gioco con i propri soldi e il proprio lavoro e i propri sentimenti: non sono questi i tuoi interlocutori. Questi esigeranno da te la perfezione in ogni tuo atto, la stessa che applicano poco tempo al giorno in una piccola attività marginale, quasi un distintivo del loro essere verdi, ma se chiederai loro di abbassare la temperatura di casa in alcuni periodi davvero freddi dell'inverno ti diranno di no. Li riconoscerai perché non sono generosi e sono molto chiusi, ma certe volte capirai solo dopo molto tempo che le vostre strade sono lontanissime. Altri ancora, una piccola parte, vivono di rendita, e nonostante questo vengono a farti lezione, loro che non hanno mai avuto veramente il timore di non avere di che vivere. Faccio solo degli esempi e non mi riferisco a situazioni particolari, solo un miscuglio di cose incontrate per la mia strada.

Io non posso confrontarmi con la tua scelta, che ammiro molto. Tanti anni fa feci anch'io una scelta del genere, non totale come la tua. E i primi tempi che avevamo il negozio di alimenti biologici i primi ad arrivare furono questo tipo di critici. Non ricordo più neanche le facce. Avevamo fatto un negozio piccolissimo, era il 1989, e pieno di difetti, non avevamo una specifica competenza come commercianti, che sarebbe servita. Ma fin dall'inizio fu un vero negozio di alimentari bio: tutto ciò che c'era di bio mangiabile sul mercato cercavamo di procurarcelo, non solo roba confezionata, ma soprattutto prodotti freschi. Si chiamava l'Erba salvia, perché i latini chiamavano la salvia "salvia salvatrix" per le sue proprietà, e mi pareva bello che il nostro negozio contenesse nel nome quest'idea di salvezza per tutti con la coltivazione biologica del terreno. 
Ma naturalmente la maggioranza pensava che si trattasse di un'erboristeria, che non era, con ogni evidenza. 
C'era un banco frigo con tanta roba: anche burro, formaggio, ricotta e latte fresco, di capra, di mucca, e yogurt. 
Ricordo persone che venivano a farci la paternale perché il burro non lo dovevamo  tenere! Il burro e i latticini erano il male personificato!
Discussioni lunghe, con questi piccoli maestri che per sé avevano paura, qualche volta, ad attraversare la strada. La faccia della Fulvia, la mia socia più grande, è indimenticabile, diceva senza parole "Ma vai in mona" in trentino. 
Con questa gente ci ho discusso anche troppo. Semplicemente proponevamo tutto quello che si poteva trovare, senza per forza volerci legare ad una qualche religione del cibo, tipo macrobiotica: che ognuno si scegliesse il proprio credo, se gli serviva, se ne aveva bisogno. A noi piaceva anche mangiare con gusto del burro buono e non ci sentivamo in colpa per quello.

Altro esempio: ad un certo punto avemmo la fornitura di alimenti bio alle mense delle scuole materne della città. Non perché fossimo raccomandate, il fatto era che c'eravamo solo noi e un altro fornitore a partecipare alla gara, e quell'altro aveva solo tre prodotti dei dieci (poniamo fossero dieci) che venivano richiesti. 
Avrei molto da raccontare anche su questo, ma ora mi concentro sulla pasta integrale che fornivamo: non era granché buona, aveva un leggero odore di balla (sacco di iuta) e in cottura si rompeva molto facilmente. Era il meglio che si poteva trovare al prezzo migliore, ma non era un granché. Le cuoche delle scuole, che non erano per niente convinte di usare questi prodotti, facevano notare tutti i difetti. Io però con loro non ci potevo parlare, neanche avere un contatto, né suggerire usi o ricette, per un'estrema concezione etica ( del comune, che era molto etico con noi e con altri non so) del rapporto fra fornitore e cliente. In altri posti d'Italia si facevano queste forniture in collaborazione costante fra fornitore e utente, perché non si voleva solo mettersi un fiore all'occhiello, si voleva che le cose funzionassero. 

In un  incontro con altri negozianti  e produttori come noi, appartenenti ad un'associazione di cui non ricordo più il nome, feci notare questi difetti della pasta. Era una cosa importante: da una nicchia minima di mercato, attraverso queste forniture alle scuole si poteva arrivare nelle case, alle famiglie che non conoscevano questo modo di alimentarsi, e cominciare ad entrare nel mercato "vero"; era davvero essenziale migliorare i prodotti, ma la risposta che ottenni, da un altro commerciante con un'aria ascetica e una sciarpetta minimal/creativa al collo, fu questa "Puoi dire alle cuoche di non usare mestoli di metallo per girare la pasta, ma di legno. Con il legno la pasta non si rompe..." 
Mi sarebbe scappato un'altra volta "ma vai in mona". Provai una grande frustrazione, ma ora penso che anche il tipo ascetico avesse le sue motivazioni, magari non gli interessava che il biologico si estendesse davvero, o considerava l'aspetto economico "sporco", o forse abitava in uno di quei posti del nord dove la gente mangiava religiosamente ogni cosa, anche non buona, purché bio...

Parte terza: la biofiera e i cosmetici.
Il negozio stava in una piazza della città dove il sabato c'era il mercato: schiaffavano davanti alla nostra vetrina dei camion molto grandi che ci mettevano al buio, e in inverno accendevano i generatori diesel, così che dal puzzo non ci si stava. La piazza era piena di gente, ma il negozio non ne traeva alcun beneficio, tuttavia non provavamo nessun risentimento, la situazione era quella e basta. Ad un certo punto spostarono il mercato e ci fu una protesta generale degli altri commercianti, con un incontro in Comune a cui dovetti partecipare. Tutti si lamentarono di questo spostamento del mercato del sabato e io alzai una mano:
"Non si potrebbe fare, in alternativa, almeno una volta al mese, una specie di mercatino del biologico? Come fanno in alcune rare città...si potrebbe chiamare "biofiera"..." 
Con mia grande sorpresa fui subito acclamata come salvatrice e immediatamente mi fu affidato del lavoro, gratuito ovviamente, aggiuntivo, per organizzare la Biofiera. Lavoro che intrapresi con entusiasmo, e avrei dei racconti anche su quello. Anno 1991 o 92. Arrivo al punto: prendemmo contatto anche con delle ragazze che conosceva la mia socia grande (sempre lei, che conosceva il mondo) che producevano in un piccolo laboratorio casalingo dei preparati di cosmetica naturale, con etichette molto approssimative. C'era scritto il nome del prodotto ma non tutti gli ingredienti che conteneva, mancavano parecchie indicazioni, ma anche le leggi che regolavano la materia erano difficili da interpretare. Si formarono subito due fazioni: io, che volevo evitare che arrivassero i vigili sanitari a sequestrare i prodotti, mettere i produttori in croce e porre la fiera appena nata sotto una cattiva luce. Volevo che le cose funzionassero. L'altra fazione comprendeva: 
A) le ragazze produttrici, che videro in me una nemica, favorevole solo alle produzioni industriali, e non era così. Loro, per sé, pensavano di fare già abbastanza a produrre cosmetici bio, che tutto il mondo doveva riconoscere loro l'impegno, la novità e l'essere veramente ecologiche, e premiarle, invece di rompere le scatole con delle regole assurde. 
B) la mia socia più grande, che era abituata a Firenze, dove nei mercatini c'era una generale tolleranza e si chiudeva un occhio. Cosa che ad Arezzo, città falsamente moralista, non c'era proprio da aspettarsi. Non ricordo neanche come andò a finire, forse le ragazze non parteciparono.

Cito un altro episodio, accaduto da poco, che non ha più a che fare col negozio. Tempo fa mi telefonò una cliente /amica che ogni tanto si fa viva, mi chiese che facevo di bello e le dissi che stavamo potando gli olivi ( una novantina di olivi) e bruciando la frasca. 
"Come- mi disse scandalizzata e amareggiata- proprio te bruci la frasca? Dovresti sminuzzare le frasche con le forbici, lo sai che bruciando produci anidride carbonica! Ti ci vorrà un pò di tempo, ma lo dovresti proprio fare..." 
Eh sì, ogni tanto questo tipo di persone si rifà vivo con proposte che dicono chiaramente come non ne sanno niente di vita in campagna, non si sono mai sporcate le mani e nonostante questo ti vogliono indirizzare...Santa pazienza.

Con ciò cosa voglio dire? Che secondo l'interlocutore che hai davanti puoi passare per integralista, innovatore o conservatore, capitalista, visionario, stronzo o santo. Difficile fregarsene. Ma opportuno farlo. Questi lavori che stanno su una frontiera (di idee, di esperienze, di concreta possibilità di farli) devono essere fatti con una certa dose di leggerezza, è necessario prendersi sul serio, perché tu, che vivi del tuo lavoro e non hai ferie e malattie pagate se non in misura minima, immagino, devi per forza prenderti molto più sul serio di un altro che può fare una telefonata e dire "oggi sto male, sostituitemi". Ma il peso di questo, soprattutto se c'è una famiglia che dipende da te, può schiacciarti.
Questi lavori hanno questa parte bella che è il confronto con l'esterno, senza esagerare e senza farsi mettere in crisi e paralizzare, se si desse retta a tutti ci si paralizzerebbe per davvero. 
Poi a volte, nell'ansia di far tutto e tutto molto bene ci si dimentica di noi e di chi ci sta accanto. Allora si deve prendere del tempo per sé, per fare le cose che ci piacciono di più e sono gratuite, non riceveranno mai un pagamento se non la gioia di farle. Sognare, ascoltare musica, disegnare, camminare, fare yoga, scrivere, pregare, meditare, fare un giardino. Lady Walton, che ha fatto con suo marito e con Russell Page il giardino della Mortella di Ischia, diceva che non voleva frutti nel suo giardino, niente di commestibile. Solo bello. Niente che ti facesse pensare ad aspetti economici.
Ci vuole, per andare avanti, uno spazio così, fisico o immateriale, solo bello.