al tempo del virus

La mia mamma raccontava sempre storie della sua vita. Mi chiedo se anche mio fratello se le ricordi o le abbia conservate, certe volte anche se cresciuti nello stesso posto, con poca distanza d'età come noi, che è come dire spostati l'uno dall'altro di pochissimo rispetto a ciò di cui si parla, se ne possono avere esperienze diversissime...chissà dunque cosa ricorda lui. La mia mamma raccontava dello sfollamento a Palazzo del Pero, durante la seconda guerra mondiale, e diceva che era stato un lungo periodo sospeso, in cui non si sapeva cosa sarebbe accaduto, si sapeva che c'era la guerra, e si aveva paura dei bombardamenti, per quello si era andati in campagna; ma ancora i nemici non si erano manifestati come tali, erano persone con cui si poteva cenare insieme, perfino, e partecipare con loro a delle feste. Quando passò il fronte si vide di cosa erano capaci, solo a Palazzo del Pero ci furono due stragi per rappresaglia, quella dell'Intoppo e quella di Badicroce dove morì e fu prima violentata una nostra zia, che compare nelle memorie e nei verbali dell'epoca e si chiamava Olga Badini Domestici. La mamma era molto giovane e viveva quel periodo senza comprendere bene e cercando di godersi la vita per quello che poteva. Diceva che per passare il tempo lei e i suoi amici cucinavano i Krapfen, i bomboloni fritti ripieni di crema, e li mangiavano, e che a un certo punto si accorse di aver raggiunto i 65 kg, e smise di mangiarli. C'era questo racconto dei krapfen e poi, a valanga,tutti quelli del passaggio della guerra, le bombe esplose e inesplose, gli zii morti, le pellicce ( la matrigna della mamma aveva una pellicceria) che si era creduto di aver messo in salvo e si erano perdute, lo stare in fila davanti a un soldato col mitra spianato che sta per ucciderti, e invece no... Il racconto dei krapfen era così breve e quasi insensato di fronte al resto, come il simbolo di un lungo preludio sospeso, in cui solo da adulta ho scoperto che erano accadute cose che non si possono raccontare, soprattutto ai figli. 

Questo periodo del coronavirus, con tutte le battute umoristiche, le esagerazioni e il dire " è solo un'influenza" ( l'ho detto anch'io i primi giorni), tutto lo sciacallaggio politico, tutto il lavoro esagerato negli ospedali, che però sentiamo solo raccontare, mi pare così, di attesa e sospensione e comprensione solo parziale, e speriamo che non ci sia una stretta finale come nello sfollamento di allora. E' la prima volta che c'è una pandemia mondiale, non così grave per fortuna, penso a una bella notizia letta stamani, in Congo guarisce l'ultimo paziente dall'Ebola, di questa ultima epidemia spaventosa. Il Congo ricchissimo ma depredato ce la fa in una cosa che fa davvero orrore, una febbre emorragica. Quella mi avrebbe terrorizzato, mentre questo virus, non so perché, non mi fa tanta paura. La paura ha radici nel profondo e è sempre non tutta razionale, io mi spavento molto, ma per altre cose. Mi spaventa per esempio che il disastro climatico sia subito passato neanche in secondo piano, ma nello sfondo. Mi spaventa la situazione economica che ci troveremo davanti alla fine dell'emergenza. L'Italia anziana e tutto sommato benestante vede solo se stessa e la propria paura, e ha forse un'orizzonte temporale limitato, uno due o cinque anni, mentre a est Erdogan bombarda la Siria, e spinge i profughi alle porte dell'Europa, dove il governo greco di destra fa finta di non vedere e così autorizza i fascisti di Alba Dorata a uccidere famiglie inermi che cercano solo di sopravvivere. 

Non ci siamo solo noi e questo virus. Io per questo ho una vecchia medicina, occuparmi del mio spazio verde, quando posso, quando ce la faccio, come mi riesce. Questo mi permette di riprendere le misure, ridimensionare un poco ciò che accade.