Traslochi, accumuli, distacchi, voglia di nuovo

Una mia amica, anni fa, doveva fare un trasloco. Aveva avuto dei guai col marito e si separavano dopo una storia turbolenta. Lei con i ragazzi andava a stare in casa della sua mamma, anziana e vedova. Mi offrii di aiutarla. Sapevo quanto è triste e stressante un trasloco, pare sia l'avvenimento che causa più stress dopo la morte di una persona cara e pensavo di poterla aiutare a viverlo meglio. Quando mi ci ritrovai, però, mi venne una gran tristezza. Le cose che mettevamo via erano poche e modeste. Lei stava pagando una ditta per trasportarle, e valevano meno del costo del trasporto, ma erano tutto ciò che aveva, la sua roba. Arrivate dalla sua mamma si trattava di sistemarle nei mobili, facendo posto, e la cosa fu ancora più triste. Trovammo gli stipetti pieni di grandi quantità di barattoli di plastica degli yogurt monodose, impilati; contenitori di alluminio monouso lavati, un po' storti e impilati anche quelli, e scatoline della mozzarella, e tanti barattoli di vetro, tante volte fossero utili, diceva la sua mamma. Buttare via almeno un po' di quella roba fu un'impresa, sembrava di farle una violenza. La capivo bene, perchè ho una vera passione per i vetri. Tengo anch'io da parte barattoli e bottiglie e li butto con grande difficoltà. Penso che li userò per marmellate e qualche conserva, che però nessuno mangia più. Sono fantasmi di desideri che si spengono.

In basso i mobili erano pieni di flaconi di detersivi, perché ogni volta che al supermercato c'era un'offerta, un tre per due, o due al prezzo di uno, questa signora ne approfittava. C'era una scorta di detersivi di tutti i tipi che bastava per tre anni. La mia amica alla fine era stravolta dalla stanchezza e dalla fatica, eravamo entrate tutte e due non solo nell'intimità della casa della sua mamma, ma nel labirinto della sua testa ed era una visione desolante. 

Mi ricordò un trasloco nostro, in una casa di campagna molto vecchia e fredda. Avevamo lasciato un ultimo cartone da svuotare e era lì da almeno una settimana quando ci accorgemmo che nella grande cucina c'era un topo. La sera chiudemmo la Nerina, una delle nostre brave gatte, nella stanza, e andammo a dormire. Dopo un'oretta si sentì rumore di sedie mosse e qualcuno che salta sul tavolo. Lasciammo passare qualche minuto e Mauro andò a vedere. La Nerina aveva ammazzato il topo, che oltretutto era un ratto grosso, non un topino campagnolo. Quando Mauro accese la luce la micia lo salutò con un miao molto gentile, lui si sbarazzò del cadavere e la mattina dopo frugai nel cartone. C'erano dentro dei vestiti e un vecchio accappatoio, il ratto ci aveva molto lavorato, rosicchiando e tirando i fili con le zampe, e l'aveva fatto diventare un grande gomitolo comodo, ci aveva fatto casa. Buttai via quella roba senza rimpianti, ma mentre la maneggiavo mi sembrò di provare le  emozioni del ratto. Solitario, con quella continua smania di rodere, acquattato, poveretto, in mezzo ai nostri vestiti. Per un attimo fui il ratto, e me lo ricordo ancora molto bene. 

La zia anziana di una signora per cui ho lavorato si sentì male. La nipote andò a darle una mano e cominciò col pulire la cucina. Le toccò stare un pomeriggio sotto il lavello, erano anni che nessuno puliva.

Anche le nostre case, per quanto belle e curate, sono tane. Ognuna col suo odore caratteristico, non sempre buono. Odore di cibo, di fritto, di certi detersivi molto "profumati", di muffa, di fumo...

In casa dei miei c'era odore di fumo di sigaretta. Fumavano tanto tutti e due. Non me ne accorgevo, c'ero talmente abituata! Me ne accorsi quando feci un viaggio di una settimana. Al ritorno in casa l'odore di fumo mi fece impressione. 

Casa nostra era stata sempre abbastanza pulita, nonostante gatti, cani e criceti che avevano vissuto con noi. Negli ultimi anni la mia mamma non teneva più bestiole, e aveva un indiano che andava un paio di volte la settimana a fare le pulizie. Lei teneva tanto alla casa, agli oggetti, aveva mobili pieni di serviti da tè che nessuno aveva mai usato, di vasi per fiori recisi, il servito di piatti col filino d'oro, quell'altro in ceramica di Deruta, e cassetti di centrini all'uncinetto e tovaglie... 

I mobili di cucina erano stati comprati nei primi anni sessanta, quando entrammo nella casa nuova, e erano di marca, la Snaidero. Erano giallo chiaro, alla mia mamma piaceva il giallo più di tutti i colori. Il pavimento era di piastrelle dipinte a mano con una margherita per piastrella, su un fondo verde, così che sembrava quasi un prato. Era tutto molto fresco e di buon gusto, e allegro. I mobili erano di metallo, verniciati a fuoco, ma usandoli per tantissimi anni certe parti si erano rovinate, così a un certo punto aveva fatto riverniciare gli sportelli da un carrozziere. La verniciatura resistette qualche anno poi cominciò a disfarsi e impastarsi. Sui ripiani, dentro i mobili, metteva della carta. Carta colorata, che comprava in rotoli e ogni tanto sostituiva. Ma alla fine mise carta di giornale. La volta che aprii il mobile per prendere le tazze e ci trovai la carta di giornale mi prese un'angoscia profonda, improvvisa. Era un segnale, non le importava più, stava abbandonando le sue abitudini e questo mi fece molto male, anche se poi mi chiesi se non fosse un gesto teatrale, come uno che tenta il suicidio per dire che ha bisogno di aiuto. Ma lei non voleva il mio aiuto, né quello di nessuno e io rimasi con la mia angoscia. 

Dopo un po' feci un bellissimo sogno. Sognai che ero andata a trovarla e aveva  comprato una bella cucina nuova splendente, gialla anche questa, con tutti gli elettrodomestici nuovi. Era molto contenta, anche se aveva speso tanti soldi. Quel sogno me lo sono tenuto da parte. Me lo ricordo ogni tanto, ora poi che abbiamo qui la mia suocera che praticamente ormai muore un pezzettino al giorno senza riuscire a staccarsi dalla vita. 

Adesso non posso rinnovare niente, anche per queste chiusure prolungate. Ma tempo fa, quando ci si poteva muovere un po' di più, ho comprato due belle sedie usate, e ora ho preso due piccole stelle di Natale da tenere come un mazzo di fiori sopra la tavola per questi giorni di dicembre. Ho fatto un paio di ghirlande natalizie e le ho regalate. Doman ne farò una per me. Ho messo delle decorazioni e, cosa più importante, ho svuotato il ripostiglio e buttato tanta roba che non serviva più. Due portabagagli pieni di robaccia. Mi ci è voluto del coraggio per affrontare l'impresa, è sempre difficile decidere di separarsi dalle cose, e scegliere quelle da cui separarsi, ma quando ci si riesce il senso di liberazione che si prova è impagabile. Ora si passa e si respira meglio. Mi aspettano lavoretti ancora più impegnativi per liberare altro spazio.  Devo sistemare la libreria che pende da una parte e togliere i libri e rimetterli sarà una faccenda seria. Ma sarà bello spolverare a fondo. Poi dovrò decidere cosa fare di alcuni mobili che ingombrano in mezzo. Ci vuole tempo per accettare che si vive anche senza tanta roba, che meno cose ci sono in mezzo, meglio si sta. Mi ci è voluto del tempo per accettare l'idea che alcune cose posso buttarle e sopravvivo ugualmente. Ho superato i sessantacinque anni. Questo autunno ho fatto uno scalino in discesa, mi sono saltati addosso parecchi dolori e quando mi guardo allo specchio vedo la donna anziana che sono. Dicevamo con un'amica che bisogna liberarsi di un po' di roba per non lasciare troppo ciarpame ai figli. E' una cosa che ho provato io solo vent'anni fa, quando morì il babbo e mi toccò di vuotare lo studio di ingegnere. Mi sentii un becchino, come se lo seppellissi un'altra volta. Ero disperata di non poter conservare tante cose, era il periodo della casa fredda e vecchia che dicevo prima e neanche le nostre cose erano al sicuro, lì. E di nuovo dopo, nel 2012, successe la stessa cosa con le cose della mia mamma. Tenni per un anno parecchi suoi abiti, camicie di seta, golfini. Poi feci un carico e detti quasi tutto in beneficenza. Cosa volevo dire? Non so benissimo..per un verso mi sembra bene prepararmi al distacco e alleggerire, sistemare i conti e buttare tutto quello che è inutile.  Per un altro verso voglio godermi la vita e rinnovare, arrivare in fondo più viva possibile.