LA VITA RICOMINCIA OGNI GIORNO. Padre Cupia
Io e la mia amica R., che fa il medico nel servizio pubblico, avevamo sentito parlare di un corso per "consulente familiare". Ci siamo iscritte e ieri siamo andate insieme a sentire di che si tratta, prima di confermare definitivamente. E' un viaggetto in un'altra città, un impegno che si protrarrà fino alla prossima estate, oltre che una spesa non indifferente, non proprio uno scherzo. Bisogna pensarci bene.
Ho parlato già delle mie amiche, siamo un gruppetto di ex compagne di scuola che si rivedono ancora, o forse "sempre" è più adatto. Perché la parolina "ancora", in questo caso, ha un che di strascicato, signore in età avanzata che continuano a vedersi, ma lo fanno per abitudine, stancamente, rimembrando tempi passati, ma per noi non è così, ci vediamo sempre, con una certa volontà (di superare pigrizia e ostacoli vari). Siamo amiche e vogliamo (!) continuare ad esserlo. La R. è una signora seria con una punta di leggerezza, necessaria, questa leggerezza, ad una che viene da una famiglia grande e impegnativa e che poi nella sua famiglia ha voluto 4 figli, di cui una ancora piccola, che sospetto sia il suo "motore" principale, nel senso che i bambini danno una spinta e una voglia di vivere molto forti. Dopo aver vissuto in famiglia portando avanti i suoi compiti con un amore e una dedizione totali, ora la mia amica sente di ricominciare a vivere, di riacquistare importanza come persona, in una specie di seconda nascita.
Le è venuta voglia di specializzarsi in psichiatria, e di frequentare questo corso per consulente familiare, che dà l'occasione di guardarsi bene dentro e approfondire certi aspetti della propria vita.
Ieri siamo andate insieme, io e la R., a Siena. Abbiamo sbagliato strada due volte, per colpa mia che sono un pessimo navigatore, e ad un certo punto abbiamo imboccato la via del mare, che, dato lo splendore della giornata, aveva il potere di una calamita. Siamo tornate indietro veloci e alla fine siamo arrivate perfino in anticipo. Questo corso si tiene nei locali del Vescovado. Erano presenti le due persone che per prime, in Italia, hanno messo su i consultori familiari cattolici, quelli della Chiesa, per dirla breve, cioè una signora di cui non mi si è fissato in testa il nome e padre Luciano Cupia. Poteva essere, dalle premesse, una noia tremenda. La signora l'età non ce l'ha detta, ma comunque intorno ai settant'anni, padre Luciano 84.
Sapete quando le persone anziane sembrano più giovani dei ragazzi e fanno venir voglia di vivere? Sorprendente soprattutto quest'uomo molto anziano, che sta diventando cieco, che ha tenuto un lungo discorso con molte pause ben calibrate, nel perfetto silenzio del pubblico, un silenzio dovuto all'attenzione catturata dal primo istante e mai più lasciata andare.
Ogni parola evocava un'immagine: l'infanzia nei monti del Piemonte ai confini con la Svizzera, la morte precoce dei genitori, l'affidamento ad uno zio prete, teologo colto che aveva rapporti stretti con gli scrittori francesi più famosi dell'epoca di cui ha citato Bernanos, Claudel ed altri a me ignoti, la zia che lo ha allevato con amore ed è vissuta fino ad età avanzatissima, sostituendo la mamma... Per me le vite sono sempre piene di fascino, ma anche il modo di raccontarle. Con la calma di chi dà il giusto valore al tempo ci ha raccontato molte cose, dei Papi che ha conosciuto, del suo lavoro nella Chiesa e delle sue opinioni originali che devono avergli reso la vita piuttosto vivace e non facile, di quando portò in Italia l'analisi transazionale, dei suoi colloqui col Cardinale Martini, di come, al posto di certi cardinali in Vaticano, avrebbe visto meglio la presenza di una donna, (una donna cardinale, roba da matti, detto da un prete), di come un consulente familiare sia un esperto di Relazioni e cioè di Amore, di come debba accogliere e mai giudicare, lasciare che nella persona maturino le condizioni per liberarsi...
L'ascoltavo e mi sentivo felice.
In macchina, tornando a casa, io e la R. abbiamo chiacchierato, scambiandoci le impressioni ed altro. Lei diceva di come si sia recentemente liberata di una visione pesante e cupa della religione, opprimente e non liberante. Viene da una famiglia tradizionalmente religiosa.
Per me, i miei mi fecero battezzare e fare Comunione e Cresima solo perché non mi sentissi diversa, perché non fossi discriminata, ma non erano credenti e non frequentavano la chiesa, anzi la criticavano aspramente. Fui io che, per essere "più uguale " alle altre bambine, per omologazione, ma anche perché qualcosa mi attraeva molto, cominciai ad andare in Chiesa.
Pensate: furono i primi no alla mia mamma, che non era mica tanto d'accordo!
C'era qualcosa che avvertivo come fondante e importantissimo per me, nell'andare in Chiesa, e qualcos'altro che sentivo ipocrita e palesemente falso.
Da grande capii che tenevo tutto in compartimenti stagni, l'andare in chiesa, cantare le brutte canzoni della Messa, accettare per buoni i divieti, per esempio quelli riguardo al sesso, tutto questo stava in un cassetto, per conto suo.
Fuori di lì c'era il mondo, c'era l'arte, la musica, la natura, la scienza, il sesso che mi facevano ribollire di domande e di fremiti e non sottostavano a nessuna piccola legge. Eppure capivo che nella religione le leggi importanti sono poche e la più importante è l'Amore. Dall'Amore nascono, in qualche modo, tutte quelle cose che con la Chiesa non vanno d'accordo: la musica Rock, i dipinti di Caravaggio e Mirò, le scoperte scientifiche, il far l'amore ... Segui l'Amore, guarda dove ti porta.
Parlavamo di questo, in macchina, delle nostre storie, tanto diverse e nonostante questo siamo amiche, e mi vien da piangere a pensarci. Lei, che ha vissuto i divieti riguardo al sesso senza capirli, senza poter aderire intimamente in alcun modo alla regolina che negava e basta, e ha sofferto per questo, sentendosi sciocca e divisa, ora dice ai suoi figlioli che l'importante è amare e il sesso si può fare, si deve fare, è un modo per conoscere l'altra persona. Semmai ora si trova, con i figlioli maschi, di fronte al problema opposto, perché il mondo è davvero tanto mutato. Ma non è questo l'argomento del post.
Abbiamo finito per parlare della psichiatria e delle malattie psichiatriche "organiche", curate con i farmaci. Qui posso dire io qualcosa. Quando stetti male, a 26 anni, ebbi degli attacchi di panico che chiamavo crisi d'angoscia, perché ancora non c'erano parole per dire queste cose. Ora di queste parole se ne fa un abuso. Potevo essere curata con i farmaci, in fondo si dice che depressione e panico siano chimica del corpo e con la chimica si possono guarire.
Ma io la vissi in un altro modo.
Per me fu un'occasione.
Il mio corpo prima e il mio cervello poi, anima compresa o quel che è, dicevano, certe volte gridavano, che non andava bene così, dovevo cambiare qualcosa del mio modo di vivere. Se qualcuno mi avesse dato una pasticca non avrei sentito quell'urlo, benché molto forte. Ora vedo come sarei diventata: una vecchia ragazza non sposata, senza figli, che non guida, che forse ha un triste lavoro di qualche tipo, ma ha una vita vuota e prende psicofarmaci da un tempo così lontano che non se lo ricorda più.
Soffrii parecchio, ma fu l'inizio di un viaggio di crescita che dura ancora. Il disagio fisico e psichico che vissi, e ho vissuto, meno intenso, anche in seguito, è segno di domande interiori che si affacciano con fatica e dolore alla superficie della coscienza. Quindi io credo fermamente che a volte assumere farmaci limiti la libertà, perché affrontare i propri disagi è anche una storia di libertà.
Chiaro che provoco, adesso, non dico che non si debbano prendere psicofarmaci, questa è la mia esperienza, che è andata bene per me, non la voglio assegnare ad altri.
L'ho scritto altre volte, ma voglio ricordare anche ora quella mattina che mi svegliai, come sempre, in preda alla tristezza profondissima e vedevo il giorno davanti a me come una fatica insostenibile. Erano alcuni mesi che stavo male.
Mi venne in soccorso un pensiero, banale in sé.
Diceva così: ogni giorno hai, in percentuale, 50 motivi per ammazzarti e 50 motivi per essere felicissima.
Puoi scegliere.
Questo pensiero brillava, era vivo e come fatto di qualcosa di solido e materiale. Era un'esperienza, più che un pensiero. Mi aggrappai ad essa con una felicità che non provavo da tanto. Fu il primo gradino.
Se avessi preso la pasticca o le gocce di psicofarmaco non avrei visto lo splendore di quel pensiero che mi illumina anche ora. La vita ricomincia tutti i giorni.
Ho parlato già delle mie amiche, siamo un gruppetto di ex compagne di scuola che si rivedono ancora, o forse "sempre" è più adatto. Perché la parolina "ancora", in questo caso, ha un che di strascicato, signore in età avanzata che continuano a vedersi, ma lo fanno per abitudine, stancamente, rimembrando tempi passati, ma per noi non è così, ci vediamo sempre, con una certa volontà (di superare pigrizia e ostacoli vari). Siamo amiche e vogliamo (!) continuare ad esserlo. La R. è una signora seria con una punta di leggerezza, necessaria, questa leggerezza, ad una che viene da una famiglia grande e impegnativa e che poi nella sua famiglia ha voluto 4 figli, di cui una ancora piccola, che sospetto sia il suo "motore" principale, nel senso che i bambini danno una spinta e una voglia di vivere molto forti. Dopo aver vissuto in famiglia portando avanti i suoi compiti con un amore e una dedizione totali, ora la mia amica sente di ricominciare a vivere, di riacquistare importanza come persona, in una specie di seconda nascita.
Le è venuta voglia di specializzarsi in psichiatria, e di frequentare questo corso per consulente familiare, che dà l'occasione di guardarsi bene dentro e approfondire certi aspetti della propria vita.
Ieri siamo andate insieme, io e la R., a Siena. Abbiamo sbagliato strada due volte, per colpa mia che sono un pessimo navigatore, e ad un certo punto abbiamo imboccato la via del mare, che, dato lo splendore della giornata, aveva il potere di una calamita. Siamo tornate indietro veloci e alla fine siamo arrivate perfino in anticipo. Questo corso si tiene nei locali del Vescovado. Erano presenti le due persone che per prime, in Italia, hanno messo su i consultori familiari cattolici, quelli della Chiesa, per dirla breve, cioè una signora di cui non mi si è fissato in testa il nome e padre Luciano Cupia. Poteva essere, dalle premesse, una noia tremenda. La signora l'età non ce l'ha detta, ma comunque intorno ai settant'anni, padre Luciano 84.
Sapete quando le persone anziane sembrano più giovani dei ragazzi e fanno venir voglia di vivere? Sorprendente soprattutto quest'uomo molto anziano, che sta diventando cieco, che ha tenuto un lungo discorso con molte pause ben calibrate, nel perfetto silenzio del pubblico, un silenzio dovuto all'attenzione catturata dal primo istante e mai più lasciata andare.
Ogni parola evocava un'immagine: l'infanzia nei monti del Piemonte ai confini con la Svizzera, la morte precoce dei genitori, l'affidamento ad uno zio prete, teologo colto che aveva rapporti stretti con gli scrittori francesi più famosi dell'epoca di cui ha citato Bernanos, Claudel ed altri a me ignoti, la zia che lo ha allevato con amore ed è vissuta fino ad età avanzatissima, sostituendo la mamma... Per me le vite sono sempre piene di fascino, ma anche il modo di raccontarle. Con la calma di chi dà il giusto valore al tempo ci ha raccontato molte cose, dei Papi che ha conosciuto, del suo lavoro nella Chiesa e delle sue opinioni originali che devono avergli reso la vita piuttosto vivace e non facile, di quando portò in Italia l'analisi transazionale, dei suoi colloqui col Cardinale Martini, di come, al posto di certi cardinali in Vaticano, avrebbe visto meglio la presenza di una donna, (una donna cardinale, roba da matti, detto da un prete), di come un consulente familiare sia un esperto di Relazioni e cioè di Amore, di come debba accogliere e mai giudicare, lasciare che nella persona maturino le condizioni per liberarsi...
L'ascoltavo e mi sentivo felice.
In macchina, tornando a casa, io e la R. abbiamo chiacchierato, scambiandoci le impressioni ed altro. Lei diceva di come si sia recentemente liberata di una visione pesante e cupa della religione, opprimente e non liberante. Viene da una famiglia tradizionalmente religiosa.
Per me, i miei mi fecero battezzare e fare Comunione e Cresima solo perché non mi sentissi diversa, perché non fossi discriminata, ma non erano credenti e non frequentavano la chiesa, anzi la criticavano aspramente. Fui io che, per essere "più uguale " alle altre bambine, per omologazione, ma anche perché qualcosa mi attraeva molto, cominciai ad andare in Chiesa.
Pensate: furono i primi no alla mia mamma, che non era mica tanto d'accordo!
C'era qualcosa che avvertivo come fondante e importantissimo per me, nell'andare in Chiesa, e qualcos'altro che sentivo ipocrita e palesemente falso.
Da grande capii che tenevo tutto in compartimenti stagni, l'andare in chiesa, cantare le brutte canzoni della Messa, accettare per buoni i divieti, per esempio quelli riguardo al sesso, tutto questo stava in un cassetto, per conto suo.
Fuori di lì c'era il mondo, c'era l'arte, la musica, la natura, la scienza, il sesso che mi facevano ribollire di domande e di fremiti e non sottostavano a nessuna piccola legge. Eppure capivo che nella religione le leggi importanti sono poche e la più importante è l'Amore. Dall'Amore nascono, in qualche modo, tutte quelle cose che con la Chiesa non vanno d'accordo: la musica Rock, i dipinti di Caravaggio e Mirò, le scoperte scientifiche, il far l'amore ... Segui l'Amore, guarda dove ti porta.
Parlavamo di questo, in macchina, delle nostre storie, tanto diverse e nonostante questo siamo amiche, e mi vien da piangere a pensarci. Lei, che ha vissuto i divieti riguardo al sesso senza capirli, senza poter aderire intimamente in alcun modo alla regolina che negava e basta, e ha sofferto per questo, sentendosi sciocca e divisa, ora dice ai suoi figlioli che l'importante è amare e il sesso si può fare, si deve fare, è un modo per conoscere l'altra persona. Semmai ora si trova, con i figlioli maschi, di fronte al problema opposto, perché il mondo è davvero tanto mutato. Ma non è questo l'argomento del post.
Abbiamo finito per parlare della psichiatria e delle malattie psichiatriche "organiche", curate con i farmaci. Qui posso dire io qualcosa. Quando stetti male, a 26 anni, ebbi degli attacchi di panico che chiamavo crisi d'angoscia, perché ancora non c'erano parole per dire queste cose. Ora di queste parole se ne fa un abuso. Potevo essere curata con i farmaci, in fondo si dice che depressione e panico siano chimica del corpo e con la chimica si possono guarire.
Ma io la vissi in un altro modo.
Per me fu un'occasione.
Il mio corpo prima e il mio cervello poi, anima compresa o quel che è, dicevano, certe volte gridavano, che non andava bene così, dovevo cambiare qualcosa del mio modo di vivere. Se qualcuno mi avesse dato una pasticca non avrei sentito quell'urlo, benché molto forte. Ora vedo come sarei diventata: una vecchia ragazza non sposata, senza figli, che non guida, che forse ha un triste lavoro di qualche tipo, ma ha una vita vuota e prende psicofarmaci da un tempo così lontano che non se lo ricorda più.
Soffrii parecchio, ma fu l'inizio di un viaggio di crescita che dura ancora. Il disagio fisico e psichico che vissi, e ho vissuto, meno intenso, anche in seguito, è segno di domande interiori che si affacciano con fatica e dolore alla superficie della coscienza. Quindi io credo fermamente che a volte assumere farmaci limiti la libertà, perché affrontare i propri disagi è anche una storia di libertà.
Chiaro che provoco, adesso, non dico che non si debbano prendere psicofarmaci, questa è la mia esperienza, che è andata bene per me, non la voglio assegnare ad altri.
L'ho scritto altre volte, ma voglio ricordare anche ora quella mattina che mi svegliai, come sempre, in preda alla tristezza profondissima e vedevo il giorno davanti a me come una fatica insostenibile. Erano alcuni mesi che stavo male.
Mi venne in soccorso un pensiero, banale in sé.
Diceva così: ogni giorno hai, in percentuale, 50 motivi per ammazzarti e 50 motivi per essere felicissima.
Puoi scegliere.
Questo pensiero brillava, era vivo e come fatto di qualcosa di solido e materiale. Era un'esperienza, più che un pensiero. Mi aggrappai ad essa con una felicità che non provavo da tanto. Fu il primo gradino.
Se avessi preso la pasticca o le gocce di psicofarmaco non avrei visto lo splendore di quel pensiero che mi illumina anche ora. La vita ricomincia tutti i giorni.