le piccole virtù

Giornate di lavoro intenso prenatalizio, per cui mi riconosco il diritto di stare un pochino seduta a pensare e scrivere. Abbiamo avuto serate molto "toniche" al lavoro e sono tornata a casa quasi alle due di notte. "Ci vuole un fisico bestiale.." canticchia la Giusi entrando in cucina carica di piatti. Avete voglia di seguirmi in un discorso senza capo né coda, fra ricordi e riflessioni, senza una morale e con un vago filo conduttore? Se sì, è a vostro rischio e pericolo, ricordate!

Pensavo alle piccole virtù. 

"Le piccole virtù " è il titolo di una raccolta di racconti di Natalia Ginzburg, che è una delle mie scrittrici preferite. Il racconto che dà il titolo al libro parla delle virtù minori, le piccole virtù borghesi che si insegnavano ai bambini. Non insegnate le piccole virtù borghesi ai bambini, insegnate le grandi virtù, dice Natalia. Come genitori diamo per scontate le virtù maggiori, pensiamo che i nostri figli le abbiano già in sé e che prima o poi si manifesteranno; le virtù piccole, invece, che non sono un impulso del cuore, ma frutto di una riflessione maturata nella vita, benché certe volte sembrino meschine, ci pare il caso di insegnarle, di inculcarle nelle giovani teste ignare dei nostri bambini.
 Il risparmio, per esempio, è una delle piccole virtù. Risparmiare un soldino sopra l'altro, metterli da parte. Quest'immagine, della bambina che mette il soldino nella fessura del salvadanaio, spalanca la porta a certi ricordi. 

Una  classe della scuola elementare, primi anni sessanta, i bambini, i maschi col grembiule nero e le femmine col grembiule bianco, si alzano ordinatamente tutti in piedi per accogliere qualcuno che è venuto a far visita, un funzionario della Banca Popolare Aretina che consegnerà ad ognuno un salvadanaio di metallo colorato, con uno sportellino e una piccola chiave per aprirlo, ma la chiave la tiene la Banca, e se si vuol ritirare i risparmi bisogna andare in Banca per farlo aprire, e forse allora saremo consigliati a depositarli in un librettino di risparmio...è tutto vero o la mia memoria si è inventata qualcosa? 

La Banca era un'importante istituzione in città, aveva avuto un ruolo vitale nella ricostruzione del dopoguerra. Raccoglieva il denaro di chi ne aveva molto  e lo metteva a disposizione di chi non ne aveva ma  ne aveva bisogno, o  aveva iniziativa per creare nuove attività. In questo senso il lavoro della Banca è utile e benefico, in una sana società umana. Il babbo aveva un caro amico che lavorava in Banca, un funzionario di alto livello che aveva un suo ufficio riservato non nei pressi della grande sala affrescata sempre affollata, ma in uno dei lunghi corridoi silenziosi del retro. Certe mattine andavamo a trovarlo, io e la mamma. Io avevo un bel cappottino e un cappellino di feltro col nastrino, la mamma aveva anche lei un bel cappotto, scarpe col tacco e i guanti di filo, e l'usciere sorridente ci accompagnava fino alla porta chiusa. Dentro la stanza arredata con bei mobili sobri e ricchi, lo zio ( io lo chiamavo così, era il mio padrino di battesimo) ci accoglieva affettuoso. La banca e la sua sede, la sala affrescata, i corridoi silenziosi, i miei soldini custoditi, erano un tutt'uno che faceva parte della mia vita di bambina.

Era tempo di pace e ci insegnavano di nuovo le piccole virtù: il risparmio, la prudenza, l'astuzia, la diplomazia, il desiderio del successo. Natalia Ginzburg le elenca e le contrappone a:
la generosità e l'indifferenza al denaro
il coraggio e lo sprezzo del pericolo
la schiettezza e l'amore per la verità
l'amore per il prossimo e l'abnegazione
il desiderio di essere e sapere

Le grandi virtù erano state spese, da alcuni, durante la guerra, e ora non servivano più così tanto. In questo nuovo tempo di pace bisognava affinare altre armi e tornare, chi era capace, ad essere astuto, prudente e diplomatico, per avere successo. 
Lo zio del babbo a cui i fascisti avevano bruciato l'edicola, che si era battuto per la Libertà durante la Resistenza, ora era un qualunque omino indaffarato nella sua libreria. Il coraggio e la generosità non gli erano più tanto necessari, gli ci voleva pazienza, oculatezza, perfino una buona dose di diffidenza, per campare.

Il Denaro tornava ad essere il protagonista delle vite, e, sul denaro, ecco che dice Natalia Ginzburg:


...abituando i ragazzi a considerare il denaro familiare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o il contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è più rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un ricordare ai ragazzi che non è molto il denaro in casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte ad una cosa che appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto né troppo tardi: il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi. Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro: e non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è meno difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a una simile libertà. Le cose diventano complicate là dove il denaro esiste ed esiste pesantemente, acqua plumbea e stagnante che esala fermenti e odori.


Questo è un pezzettino delle Piccole virtù, che non è proprio un racconto, e neanche un saggio, ma un concentrato delle cose che Natalia pensava, della sua visione del mondo. 

Ma ora, saltando di palo in frasca, torno alla Banca, per una via traversa. Un giorno, nella lunghissima ricerca di una casa da comprare, io Mauro e le bambine seguivamo un mediatore per la strada della Rassinata, e poi per una via laterale sterrata, a molti chilometri da Arezzo. Mauro diceva che non potevamo venire ad abitare quassù, troppo lontano!, era proprio inutile vedere quella casa, comunque fosse, anche fosse grandissima, in ottime condizioni e ad un ottimo prezzo, ma ormai eravamo arrivati e entrammo nella vecchia costruzione persa in mezzo ai boschi.
Era davvero una bella casa, con una forte personalità e un grande fascino, stanze piccole, collegate da scalette, alcune in legno, finestre sul bosco e scorci della valle, e io pensai, percorrendola, come sarebbe stato bello avere la libertà di abitarci. Salimmo un'ultima scala e ci trovammo in una sala non tanto grande, dalle pareti tutte dipinte. Si vedeva che gli affreschi non erano antichi, ma erano davvero belli, avevano il garbo, il gusto e la grazia di un artigianato che si avvicinava moltissimo all'arte.
Era sorprendente trovare in vecchia casa rurale una stanza tutta affrescata. Guardai l'agente immobiliare con aria interrogativa.
"Bello, vero? Durante la guerra venne qui, sfollato, con la famiglia, il pittore che aveva dipinto il salone della Banca."
Non c'era neanche bisogno che dicesse quale banca, era la Banca, la Banca Popolare Aretina, già diventata ormai Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. 
"Il pittore, che si chiamava Dragoni, quassù in mezzo ai boschi si annoiava e chiese il permesso ai padroni di casa di dipingere le pareti di questa stanza, un pò per passare il tempo e un pò per ringraziarli dell'ospitalità, ed ecco qui..." Per tutto il viaggio di ritorno pensai a quella stanza dipinta. Al pittore, che forse era tornato in città apposta per procurarsi i colori e i pennelli, e si era messo a lavorare, forse in estate, con le finestre aperte sul bosco e la valle, e l'aria profumata e calda che entrava ad asciugare il muro dipinto. La gente della famiglia doveva essere in estatica ammirazione: non avevano visto mai, lassù in cima al monte, uno che dipinge così bene, che fa apparire paesaggi e persone come se fossero veri, e meravigliosi decori a cornice; e il pittore dipingeva, serio e compreso, facendo solo qualche sorriso ai bambini, catturato dal suo lavoro e dalla sua passione... la storia del pittore Dragoni doveva essere stata bellissima anche quella e ora ne rimaneva il segno negli affreschi sulle pareti di un'antica casa abbandonata e odorosa di fumo vecchio.
Vedemmo quella casa, e me ne rimarrà il ricordo finché vivo, ma non ci passò per la testa di comprarla, così lontana da tutto, così difficilmente raggiungibile. Una casa troppo difficile per una normale vita familiare.

Ed ecco ancora Natalia Ginzburg,  riguardo alla vita familiare, da un altro racconto/saggio che si intitola  I rapporti umani:

Com'era forte e libero il nostro passo, quando si camminava soli, all'infinito, per la città! Guardavamo con commiserazione le famiglie, i padri e le madri a passeggio pian piano con le carrozzelle dei bambini la domenica sui viali: ci parevano una cosa noiosa e triste. Adesso siamo noi una di queste famiglie, camminiamo pian piano sui viali, spingendo la carrozzella: e non siamo tristi, siamo anzi forse felici, ma di una felicità che ci è difficile riconoscere, nel panico in cui siamo di poterla perdere da un momento all'altro per sempre: il bambino nella carrozzella che spingiamo è così piccolo, così debole, l'amore che ci lega a lui così doloroso, così spaventato! Abbiamo paura di un soffio di vento, d'una nuvola in cielo: non verrà la pioggia? Noi che avevamo preso tanta pioggia, a testa nuda, coi piedi nelle pozzanghere! Adesso abbiamo un ombrello. E ci piacerebbe avere anche un portaombrelli, a casa, ci colgono i desideri più strani, che mai avremmo supposto di poter avere quando andavamo soli e liberi per la città; vorremmo un portaombrelli e degli attaccapanni, delle lenzuola , degli asciugamani, un forno ventilato, un certo tipo di frigorifero. Stiamo attenti che ai nostri bambini non s'accosti gente troppo sudicia e povera, per paura di pidocchi e malattie, sfuggiamo i mendicanti. Amiamo i nostri figli in un modo così doloroso, così spaventato, che ci sembra di non avere avuto mai altro prossimo, di non poterne avere mai altro.

 Salto di nuovo ad un altro argomento: siete pronti? 
Lo zio, il nostro caro amico di famiglia che lavorava in Banca, era un "signorino". Signorino nel senso che non era sposato. Diceva così la mia mamma, che aveva un suo aspro senso dell'umorismo. Questo zio viveva con la madre anziana, una signora piccola e tutta bianca di capelli, una dominatrice ferrea e sottilmente autoritaria, con le mani rinsecchite cariche di anelli d'oro, che lui venerava. Quando la madre morì lui era già avanti negli anni, ma vacillò ugualmente, come se venisse a mancargli un elemento di sostegno insostituibile. Rimase coinvolto in un piccolo scandalo locale, si aprì una causa con la Banca e  dovette lasciare il lavoro. La Banca per lui era l'altro fulcro della vita, c'erano due punti di forza, tutti e due femminili, la Banca e la madre. Il fatto di cui era stato accusato non lo ricordo per niente e forse non l'ho mai conosciuto bene. Veniva ancora a mangiare da noi, di rado, e l'ultima volta portò con sé una borsa in cui disse di avere importanti documenti, che riguardavano il processo, documenti da cui non si poteva separare. Voleva tenerla sulla sedia  anche se ne occupava più della metà e mia madre non sapeva come fare. Era evidente che in casa nessuno poteva essere interessato ai suoi documenti, ma per lui c'erano minacce indefinite e oscure, nemici che potevano rubargli quelle carte anche lì da noi. Si rassicurò quando la mamma gli propose di nasconderle sotto il suo cappotto posato su una poltrona, lì nessuno poteva vederle. Capimmo così che era ormai in un mondo suo, al limite della realtà e provammo un dolore profondo.  All'epoca ero convinta che nessuno in Banca lo avesse difeso o avesse preso le sue parti, ma forse era solo una normale procedura nei confronti di un indagato. Tormentato dalla solitudine e dalla preoccupazione per il processo cominciò ad avere episodi di sonnambulismo. Una notte cadde, si ferì e fu portato in ospedale. Un paio di giorni dopo morì. Incontrai il suo medico per la strada e gli chiesi se aveva saputo.
 Lui chiese subito se si fosse suicidato, e  mi fece impressione, perché anch'io l'avevo pensato, ma anche se non era stato così, comunque non voleva più vivere. Aveva più o meno la mia età di ora. Dopo pochi giorni si concluse il processo e fu emessa la sentenza che lo scagionava  completamente.  

Gli avevo voluto molto bene, si interessava sempre a me e alle mie storie, mi seguiva affettuoso come un "Padrino di battesimo non credente". Una specie di fata madrina al maschile.

Una volta ero andata, per procurarmi un pò di soldi e rimediare un pasticcio che avevo combinato, a fare la cameriera nella foresteria di un convento per qualche giorno. Con me c'era una cara amica. Avevamo servito il pranzo che io avevo visto preparare. In cucina avevano tagliato a fette sottili della carne congelata da chissà quanto tempo, almeno dall'estate precedente, che era molto nera, ma impanata e fritta il colore non si vedeva più. 
Una signora mi aveva chiamato al tavolo"Cameriera!"
"Prego signora?"
"Volevo dirle che il pranzo era buonissimo!"
"Ah sì? Strano!" avevo risposto io del tutto sincera. Per fortuna nella sala c'era confusione, la signora, stupita, mi aveva  chiesto di ripetere, che le pareva di non aver capito bene, la mia amica era venuta subito in mio soccorso, e mi aveva dato una gomitata per farmi stare zitta e impedirmi di dire qualche altro sfondone.
Lo zio, quando gliel'avevo raccontato, aveva riso di gusto. 
Quello stesso giorno, al convento, avevo pulito il refettorio. L'avevo spazzato e poi mi ero accinta a passare lo straccio ben strizzato. La mia amica, quando aveva visto come mi preparavo a lavorare, che era il modo che avevo imparato a casa, aveva scosso la testa con vigore. "No, ma che fai, così ci metti due ore!" Aveva preso lo straccio fradicio e l'aveva passato così. "Ma così lo sporco non si toglie!" avevo esclamato.
"Lo sporco non va tolto, ma sparso uniformemente!" Aveva sentenziato lei. Forse la Paola se lo ricorda ancora...

Ogni volta lo zio, da quando gli avevo raccontato la mia breve esperienza al convento, mi richiedeva di raccontargli quella cosa dello sporco " Vieni qua, vieni qua e dimmi: come si fa con il pavimento? Cosa si fa con lo sporco?"

Non so se la Natalia Ginzburg avrebbe avuto piacere di essere mescolata con storie di case di campagna, banche e conventi, ma oggi è andata così...
Un'ultima cosa: quando sentivo parlare in televisione la Rita Levi Montalcini, gli ultimi tempi, spesso ricordava il suo insegnante, il professor Giuseppe Levi. Sta a vedere, pensavo io, che è il babbo della Natalia...quanti Levi professori di biologia all'Università potevano mai esserci al tempo degli studi della Levi Montalcini?
Infatti era proprio lui, quel babbo che Natalia descrive con tanto affetto e dice che nel foyer del teatro, nell'intervallo dellOpera, gridava "Ma di chi parlate? Del tale....? (facendo nome e cognome) Quello è un perfetto cretino!"
Questa cosa, fossi stata al posto suo, sarebbe successa pari pari anche a me. Ora spero solo che, anche se lo zio è morto da tanti anni, non salti fuori un erede che mi fa causa per aver raccontato questa storia, pur senza nomi e cognomi...