TANTI PENSIERI E RICORDI SUL CIBO.
Cibo.
Quando si parla di cibo si deve per forza cominciare dal principio, e quando dico principio dico da molto lontano e molto in profondità, come si mangiava nella casa dove siamo nati, e prima ancora, come e quanto mangiavamo il primo cibo, il latte materno, il "nenne", come diciamo qui in Toscana.
Neonati svogliati, voraci, metodici, che neonati siamo stati ? E quanto, dell'attitudine al mangiare, dipendeva da noi, e quanto invece dalle condizioni esterne, dal'ansia della mamma, preoccupata di non avere abbastanza latte, o dalla sua fretta di tornare al lavoro o da qualcos'altro?Quando si parla di cibo si deve per forza cominciare dal principio, e quando dico principio dico da molto lontano e molto in profondità, come si mangiava nella casa dove siamo nati, e prima ancora, come e quanto mangiavamo il primo cibo, il latte materno, il "nenne", come diciamo qui in Toscana.
Mi vien da pensare ai bambini dei paesi dove si soffre la fame, che mai si saziano al seno della mamma, che vengono allattati per anni, perché quello, a spese della mamma, è l'unico cibo sicuro.
Senza voler fare un mestiere che non è il mio credo che chiedersi questo, riguardo noi stessi, sia inutile, ormai, ma che i comportamenti relativi al cibo abbiamo la radice lì, nel passato nostro e della famiglia, delle generazioni che ci hanno preceduti. I bambini della mia età, nati una decina d'anni dopo la fine della guerra, venivano ingozzati di cibo. Le mamme erano preoccupate che non si mangiasse abbastanza, soprattutto abbastanza CARNE, che nella loro dieta era stata scarsa. Mio marito è stato ingozzato di "fettine" e ora le odia. Io mangiavo malvolentieri, da piccola, ancora ricordo alcuni odori nauseabondi della cucina, odori che ora mi piacciono e mi mettono appetito, ma di piccolina mi schifavano.
Diceva la mia mamma che, arrivata a scuola, a sei anni, perché prima all'asilo non mi ci aveva mandato, cominciai a mangiare. Con la scuola mi venne fame. A 14 anni mi chiamavano "l'inceneritore".
La sera a cena c'erano sempre un pò di avanzi del giorno.
Chi li vuole ? Io! Come un acquaio, si dice qui.
"O che sei, un acquaio, che mandi giù ogni cosa?"
Il cibo diventa consolazione, soddisfazione, riempie un "buco" dell'anima o degli affetti che tanti ragazzi sentono di avere dentro.
Mangiavamo, in casa nostra, tanta verdura, sempre di stagione, perchè il babbo aveva la pressione alta e molto di quello che si faceva in casa aveva questo motivo, che il babbo aveva la pressione alta, e si doveva star zitti, di pomeriggio, se era a letto, perchè doveva riposare, aveva la pressione alta, e si doveva mangiar la verdura, lui e tutti noi, per aiutarlo anche con il cibo. Mangiavamo tanto cibo cucinato, tante "pietanze" della tradizione, il coniglio arrosto morto all'aretina, il pollo arrosto, la trippa, i carciofi fritti e il cervello fritto, la minestra di pane, che ora tutti chiamano ribollita, ma noi non la facevamo ribollire ed era buonissima, mangiavano le tagliatelle col sugo, chiamiamo sugo quello che altri chiamano ragù.
Mangiavamo le "pulezze". Che sono le pulezze? Sono le foglie e le cime che stanno per fiorire delle rape bianche usate soprattutto, le rape, come cibo per i bovini. Le nostre "pulezze" esistono in tante regioni d'Italia, da noi fino al estremo sud, con vari nomi, e sono una verdura che declina tante forme dalla nostra semplicissima, fino al cavolo broccolo, ingrossando via via l'infiorescenza, difatti le cime di rapa somigliano alle pulezze, ma sono più grosse. Questo strano nome non so da dove venga o che voglia dire, so solo che nel vernacolo aretino ci sono molte parole con la zeta che provengono dalla lingua longobarda. Abbiamo avuto i longobardi insediati qui e così ben mescolati con la popolazione che alcune famiglie nobili aretine erano longobarde di origine, come i Brandaglia ( dal brando) che erano la famiglia della mia nonna materna, che quando sono nata io era una famiglia del popolo, ormai dimenticate tutte le nobiltà.
Da grande ho avuto il periodo della scoperta dei cibi degli altri, anche attraverso i libri, come il "Libro di cucina di Alice Toklas", segretaria, ma anche compagna di Gertrude Stein, con ricette di cucina francese che grondavano burro e panna. Quando ho avuto il negozio di cibi biologici c'è stato un altro periodo, quello della paura. C'era stato Cernobyl pochi anni prima, avevo le bambine piccole e la cosa che loro ricordano sono le merende per la scuola, merende tristissime, un pò per stanchezza, un pò perché le cose desiderate per la merenda pensavo che gli avrebbero fatto male e allora preparavo dei panini con fettine solitarie di mortadella o salame, che continuano a rimproverarmi anche ora. Ricordo benissimo il volere/non voler preparare quelle merende, che dentro di me pensavo per niente salutari. Poi però recuperai, con merende molto fantasiose, durate un periodo breve . Queste merende me le rimproverano e sottolineano che dovevo essere un pò matta, in quella fase, piuttosto nevrotica e anche ora...
Gli anni del negozio sperimentai tante cose, tutti i cereali e le farine integrali, le torte salate di verdura, le verdure finora sconosciute, come il daikon e il sedano rapa, i risotti con la zucca gialla, che nel mio cibo di bambina erano sconosciuti. Nella nostra cucina tradizionale usiamo le pulezze e il cavolo nero, ma non usiamo la zucca gialla. Ne veniva coltivata una varietà grossa e di un bell'arancione, in val di Chiana, però di nessun sapore, quando le aprivi sentivi un odore sgradevole, non il buon profumo di melone delle zucche mantovane. Zucche lardaie, le chiamavano, sottolineando col nome le dimensioni, e anche quelle le davano da mangiare agli animali. Cibo , fine della prima puntata.