Bambini abbandonati 2.
Ancora due parole sui bambini abbandonati nell'auto e poi morti di caldo e disidratazione.Il primo post era pieno di emozioni , forse non tutte ben chiare. Queste storie interrogano perché credo che a tutti i genitori sia capitata quella volta che, per distrazione o negligenza, per rabbia o per depressione, hanno rischiato di abbassare la guardia e perdere, o danneggiare i propri bambini. Quando succede ci si sente malissimo, anche se non ci sono state conseguenze , e questo episodio, magari minimo, si lega con un sentimento, che io ho avuto, ma che penso sia abbastanza comune, di non essere bravi a fare i babbi e le mamme. Soprattutto le mamme, a cui ancora è lasciata, all'inizio della vita, la più parte della cura del piccolo, per natura, per l'allattamento, che i babbi non possono fare, se c'è latte materno.
Ci si guarda davanti , si vede per un attimo quello che poteva succedere, si spalanca un buco, un'altra realtà possibile, sfiorata e ci si sente colpevoli. Se poi il bambino rimane danneggiato penso che il senso di colpa sia schiacciante. Per questo un procedimento giudiziario accerterà le responsabilità e comminerà una pena, ma credo che la pena sia già contenuta, nelle maggior parte dei casi, nell'evento stesso. La pena ci deve essere, è un minimo di giustizia in faccia a se stessi e al mondo, chi sbaglia deve pagare. Ma qualche volta la pena sarà desiderata e ritenuta insufficente dallo stesso colpevole, qualche volta sarà inutile, perchè il colpevole è già a sufficenza punito. Annientato da quello che è accaduto. Se poi nella vita si abbia la fortuna e l'intelligenza di riuscire a perdonarsi una cosa simile non so, lo vedo difficile.
Poi, devo tornare di nuovo all'auto. Lo so , inorridiranno gli psicologi, ma non voglio rubare il mestiere a nessuno, solo mi avventuro, con la mia esperienza e i miei mezzi, su un terreno che mi è un pò familiare. L'auto è un contenitore, simbolicamente ancora una pancia. Ci si sente sicuri dentro l'auto, come dentro a una pancia, quale miglior rifugio per un bambino, a chi affidarlo se non a questo simulacro di pancia protettiva? Qui davvero si dovrebbe riflettere sul perchè, soprattutto i maschi della specie, abbiano tanta cura e fiducia nelle loro auto, che pure sono solo gabbie di metallo e plastica.
Aggiungo qui di seguito un commento lasciato da Sari sul primo post su quest'argomento, che è imperdibile e completa in modo perfetto. Sono convinta che questi blog, per quello che valgono, poco o molto che sia, li facciamo insieme, chi scrive, chi legge e commenta, e i commenti sono preziosissimi .
Sari ha detto... Questi mamme e papà, prima generazione ad avere genitori e nonni che lavorano, non hanno fatto esperienza di accudimento familiare. Hanno avuto tanti beni materiali ma hanno sempre avuto genitori stanchi e trovato spesso la casa vuota, al loro rientro dalla scuola. Accudire è un'arte che non si tramanda più e non per scelta. Si fa quel che è necessario credendo, in buona fede, di avere fatto tutto... e non è così.
C'è poi il fatto, non irrilevante, che queste persone debbono dare tutto e anche di più sul posto di lavoro e le energie mentali sono già spese prima ancora di cominciare la giornata... poveri loro! No, neppure io grido al mostro, provo tanta pena per loro e per questa società malata che genera episodi così tanto orribili.
Ci si guarda davanti , si vede per un attimo quello che poteva succedere, si spalanca un buco, un'altra realtà possibile, sfiorata e ci si sente colpevoli. Se poi il bambino rimane danneggiato penso che il senso di colpa sia schiacciante. Per questo un procedimento giudiziario accerterà le responsabilità e comminerà una pena, ma credo che la pena sia già contenuta, nelle maggior parte dei casi, nell'evento stesso. La pena ci deve essere, è un minimo di giustizia in faccia a se stessi e al mondo, chi sbaglia deve pagare. Ma qualche volta la pena sarà desiderata e ritenuta insufficente dallo stesso colpevole, qualche volta sarà inutile, perchè il colpevole è già a sufficenza punito. Annientato da quello che è accaduto. Se poi nella vita si abbia la fortuna e l'intelligenza di riuscire a perdonarsi una cosa simile non so, lo vedo difficile.
Poi, devo tornare di nuovo all'auto. Lo so , inorridiranno gli psicologi, ma non voglio rubare il mestiere a nessuno, solo mi avventuro, con la mia esperienza e i miei mezzi, su un terreno che mi è un pò familiare. L'auto è un contenitore, simbolicamente ancora una pancia. Ci si sente sicuri dentro l'auto, come dentro a una pancia, quale miglior rifugio per un bambino, a chi affidarlo se non a questo simulacro di pancia protettiva? Qui davvero si dovrebbe riflettere sul perchè, soprattutto i maschi della specie, abbiano tanta cura e fiducia nelle loro auto, che pure sono solo gabbie di metallo e plastica.
Aggiungo qui di seguito un commento lasciato da Sari sul primo post su quest'argomento, che è imperdibile e completa in modo perfetto. Sono convinta che questi blog, per quello che valgono, poco o molto che sia, li facciamo insieme, chi scrive, chi legge e commenta, e i commenti sono preziosissimi .
Sari ha detto... Questi mamme e papà, prima generazione ad avere genitori e nonni che lavorano, non hanno fatto esperienza di accudimento familiare. Hanno avuto tanti beni materiali ma hanno sempre avuto genitori stanchi e trovato spesso la casa vuota, al loro rientro dalla scuola. Accudire è un'arte che non si tramanda più e non per scelta. Si fa quel che è necessario credendo, in buona fede, di avere fatto tutto... e non è così.
C'è poi il fatto, non irrilevante, che queste persone debbono dare tutto e anche di più sul posto di lavoro e le energie mentali sono già spese prima ancora di cominciare la giornata... poveri loro! No, neppure io grido al mostro, provo tanta pena per loro e per questa società malata che genera episodi così tanto orribili.