Affari nostri: gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015

Gli uccellini fuori del finestrone di cucina cantano, mentre scrivo. Il sole è caldo e forte, dopo la notte di pioggia e temperature basse finalmente adeguate alla stagione. Il vento ha fatto cadere le foglie del glicine e lo stelo tenace a cui sono attaccate, il pavimento è coperto di foglie e fili marroni. Tutto sembra normale, finalmente, e normale non è, dopo quello che è successo a Parigi e dappertutto qui in Europa. Sono affari vostri, dicono gli uccellini cantando, solo vostri, siete voi ad aver intessuto una rete di interessi, intrighi, denaro, armi, che ora vi si ritorce contro in certi modi che non avete saputo immaginare. Affari vostri, come genere umano, di cui una parte, la maggior parte, non ha voluto e neanche immaginato queste cose, ma ora ne subisce le conseguenze. Ricordo una mattina di tanti anni fa, andai con la mia bambina più piccola ad una manifestazione contro la guerra nel Golfo Persico, la piazza del Comune di Arezzo era piena di gente, che diceva "non nel mio nome" come ora. Non nel mio nome, era questo che sentivo, la responsabilità grande verso questa creatura che mi era nata, e verso l'altra, che quella mattina era alla scuola materna; basta guerra, basta orrore, per la responsabilità che abbiamo verso i nostri bambini, verso il futuro, ma la voce si perde, e sembra inutile dirlo. 

La notte scorsa, tornando a casa dal lavoro, ascoltavo radio 24, Alessio Maurizi e Carlo Gabardini, che mettevano in croce un giovane musulmano. In croce: si fa per dire, naturalmente, ma ora tutte le parole pesano più del solito, e si deve stare attenti a tutto quello che esce di bocca e dalla penna, o dalla tastiera del computer. Quando è così, già una gran fetta di libertà è persa. Chiedevano al giovane musulmano di stare su un filo sottile di parole, in equilibrio, come uno che cammina su una corda sospesa molto in alto e può cadere da un momento all'altro.
In ogni modo questo ragazzo, rappresentante delle comunità che hanno partecipato alla manifestazione di ieri, diceva tante cose, che si piangono i morti di Parigi, ma si ignorano quelli in Siria, o in tanti altri posti dove dittature e guerre uccidono ogni giorno. Diceva che i francesi, occupando il Mali, o intervenendo militarmente, hanno seminato odio. Come negarlo? E questi due, Gabardini e Maurizi, ogni secondo a rettificare, a distinguere, a mettere i puntini sulle i.  Per la correttezza, certo. Ma la correttezza non è cosa di questi giorni, e il terrorismo di strada si distingue male da un terrorismo di regime. Il risultato finale è identico. Capisco che fare i giornalisti in questi casi è complicato, però non potevo più ascoltare e ho spento la radio, disgustata. Avevo già sentito ondate di parole in questi giorni, che ascolto con avidità, per capire, o provarci. Io sto molto zitta perché in realtà sento di non avere  parole, e sono comunque affari nostri, che scottano.