Non torno qui dal 12 febbraio. In questo momento la mia suocera, 92 anni compiuti, con demenza senile o Alzheimer, non fa differenza, a letto dall'ottobre del 2019, è ricoverata in ospedale. Sola, perchè con la recrudescenza del Covid i parenti non possono essere presenti. Mi dispiace se qualcuno che passa di qui fraintende. Nonostante questo ho bisogno di lasciare una memoria fresca di questi giorni, per quanto possa essere difficile e dolorosa. Per ritrovarla quando sarà finita, per ricordare attraverso cosa siamo passati. Niente di speciale, una situazione terminale. La cosa che ho capito meglio, in questi ultimi mesi, è che in certi frangenti sarebbe meglio arrendersi. Accettare tutto. Soprattutto noi stessi, la capacità e l'incapacità di fare le cose, il limite, perché molta difficoltà proviene da lì. E' stato molto difficile ma abbiamo avuto un buon aiuto, una signora che fa questo come lavoro.  Le ultime volte non avevo scritto niente di questo perché mi pareva poco dignitoso e impietoso. E sinceramente pensavo che finisse da un momento all'altro.

 A aprile saranno 20 mesi che è con noi. L'abbiamo portata qui perché a casa sua aveva bruciato padelle e caffettiere e dimenticato il gas acceso diverse volte. Erano dieci anni, da quando è morto il marito, che era stato accertato il degrado mentale. Quando il mio suocero stava per morire una mattina mi disse che voleva fare le polpette. Le dissi che non c'era problema, perché me lo chiedeva? Mi rispose che non si ricordava come si fanno. Mi venne un brivido di paura pensando a quello che sarebbe arrivato. Le ricordai con calma, per farle tornare la memoria, come si fanno le polpette, sia quelle fritte che quelle al pomodoro. Così iniziarono le visite dal neurologo e una volta dalla psichiatra. Il degrado è stato lento e costante. 

Quando è arrivata qui, nell'agosto del 2019, già trascorreva buona parte delle giornate dormendo. Non leggeva, non l'ha mai fatto, e alla televisione le piaceva "chi l'ha visto", guardava la tv con mio marito, la sera, mentre io ero al lavoro. 

A fine ottobre 2019 si è rotta il femore e è stata in ospedale più di un mese. Dopo che è tornata è stata quasi sempre a letto, quello con le sbarre col materasso a aria. La facevamo alzare per fare i suoi bisogni, e faceva qualche giro della stanza col deambulatore, ma vista la confusione mentale non si poteva rischiare di lasciarla sola e d'altra parte molto dormiva. Abbiamo cominciato a sentirci carcerieri e carcerati. A marzo 2020 sono rimasta a casa dal lavoro e ho dovuto occuparmi di lei da sola per più di un mese. Per me, lo riconosco, è stato molto difficile. E' stato allora che ho capito che faceva la pipì in piedi e per quello in bagno non si toglieva l'odore. Ho combattuto per farla sedere sul water, cosa che forse non aveva mai fatto in vita sua. Poi è tornata la signora che veniva anche prima, per fortuna. Una volta al giorno continuavo a fare da sola.  Mio marito arrivava dopo il passaggio al bagno, per farle compagnia mentre mangiava. Ci sono stati gli episodi che, portata fuori in giardino, staccava e andava in catalessi e toccava riportarla dentro di peso col rischio che ci cadesse. Ci sono state le urla perchè vedeva animali in camera e insetti camminare sul soffitto. Ci sono state le visite dei parenti morti. Mio marito ci si innervosiva, io cercavo di prenderla sul ridere, se la buttavi sul ridere si confondeva e si dimenticava gli incubi e le visioni. Giusto in questi giorni ho sentito alla trasmissione di Mirabella che è la tattica giusta: inutile pretendere che tornino negli schemi "razionali", meglio seguire i loro o offrire una variante "allegra" della realtà che hanno istantaneamente creato. Ogni volta ho pensato che, vista la situazione, c'era poco da aspettare, che sarebbe morta presto. Poi mio marito le faceva fare le analisi del sangue e erano meglio delle nostre, meglio la pressione e l'ossigenazione. Ogni tanto è venuta la dottoressa. Non c'era molto da dire, indietro nel tempo non si torna e la situazione era quella che era. Aggiustava qualche farmaco, dava qualche consiglio.

I mesi passavano e lei a un certo punto non si è potuta più alzare. Una volta al giorno, all'ora di pranzo, ero io a portarla al bagno col deambulatore, e sveniva rischiando di cadere in terra. E' rimasta a letto definitivamente e la signora la cambiava lì. Io ho mollato, lasciando che se ne occupasse completamente lei. Le preparavo i pasti, lavavo la biancheria, ero presente, ma mi sono ritirata. Mio marito mi diceva che peggiorava e io mi stringevo nelle spalle, cosa si poteva fare di più? Hanno cominciato a venirle piccole piaghe, però curate e sotto controllo. Ha preso la posizione fetale, con le gambe rattrappite e non si riusciva più a fargliele stendere. Ogni tanto perdeva coscienza, poi però a volte urlava e le grida si sentivano da fuori di casa. Tutta l'energia finiva in quelle urla. Continuava a mangiare, come una cosa che le importava molto. Non tanto, ma mangiava. 

Una decina di giorni fa c'è stato un peggioramento grande, Mauro le aveva fatto fare altre analisi e questa volta non erano tanto buone, le piaghe erano peggiorate tutto insieme. E' venuta la dottoressa e ha mandato le infermiere per le piaghe, perchè le analisi cattive dipendevano anche da questo. Sono venute in due, la mattina, poco dopo che era andata via l'altra signora. Lei, nonostante fosse stata cambiata da meno di un'ora, era piena di cacca, perché ormai gli sfinteri non funzionano più. Nella stanza un odore pesante, greve, di escrementi che non si riesce a mandar via. Mio marito mi ha chiamato. Ti dispiace andare te a pulirla? La signora non c'è e le infermiere queste cose non le fanno. Mi dispiace, sì, avrei voluto dire con una improvvisa e inattesa ribellione. Perché non ne posso più di cattivi odori e sporco e di avere in casa una persona che muore. Ma sono andata e mi sono presa anche una specie di rimprovero malcelato che evidentemente non avevano pensato di fare a lui. E' un uomo, e gli uomini non si occupano di queste cose, ci si rivolge alla donna di casa, soprattutto in campagna. Come dire: come avete fatto a ridurla così? Non andava bene niente, il materasso non funzionava più bene, o forse non aveva mai funzionato? ma a noi l'hanno consegnato senza spiegazioni, dicendo che era semplicissimo usarlo e abbiamo fatto da soli, ricordando anche la volta che era toccato al mio suocero e mi pareva uguale. Non mi entravano i guanti perché avevo le mani umide e mi si sono rotti mentre la pulivo. Era in evidente stato di denutrizione e mi hanno chiesto se le davo da mangiare. Se le davo proteine e parmigiano. Ma il parmigiano glielo dà? E la carne? Come se l'avessimo affamata. Capisco che non è un bello spettacolo trovarsi di fronte a una persona terminale, ma sono molti mesi che è a letto e ha mangiato, quando aveva fame. Però stando ferma i muscoli si atrofizzano, il corpo piano piano cede, diventa scheletrico. Gli ultimi tempi le facevo soprattutto minestre, anche per idratarla, con molto parmigiano, o il formaggino dei bambini, olio, verdure e a volte carne, ma la carne non le piace e la rifiutava. Allora abbiamo preso gli omogeneizzati dei neonati. A un certo punto ci si arrende, di fronte a un essere umano che non parla quasi più, non capisce più niente, ha preso la posizione fetale e non stende più le gambe, vive immerso nei propri escrementi. Si cerca di mantenere una dignità, per quanto possibile, si nutre, si pulisce, si tiene pulito l'ambiente, e si aspetta che questa cosa finisca. Ma non finisce e arriva anche qualcuno che si impressiona e si scandalizza e ti fa sentire una merda anche a te, perchè...non so cosa si doveva fare ancora. Forse si sarebbe potuto fare altro, ma avrebbe significato non vivere per niente più noi. 

Non ho neanche provato a giustificarmi. Le capivo, perché è scioccante trovarsi di fronte a certe cose. Sembra una persona abbandonata, e i parenti dei torturatori, probabilmente. Ho raccontato un po' come era andata, e i mesi trascorsi, e il fatto che un mese prima mangiava con gusto la pastasciutta al ragù. Alla fine sembrava avessero capito un po' di più, erano più disponibili. Hanno detto di non toccare le medicazioni e che sarebbero tornate loro a rifarle il lunedì. Era venerdì. Io ci sono rimasta molto male, avevano fatto riemergere sensi di colpa giustificati e non, di quest'occasione e di altre che non c'entrano niente col presente, e ho dovuto raccontarmi questa storia che scrivo diverse volte daccapo per arrivare a dirmi che dovevo accettare di aver fatto quello che mi era riuscito, forse non abbastanza, ma comunque dentro dei limiti che non riesco a superare, una volta di più. Intanto le davamo gli antibiotici. Lunedì mattina non si riusciva a svegliarla. Era molto calda. Penso che fosse in coma. Mio marito ha chiamato il 112 e l'hanno portata in ospedale. 

Qualche giorno prima avevo parlato con una cara amica infermiera che ha la mamma della stessa età della mia suocera, però ancora attiva. Va in bagno da sola, si prepara qualcosa da mangiare, hanno un pezzo di terra e va a trafficare con le galline, fa un po' di orto. Uno di questi giorni non riusciva a parlare bene e la mia amica si è accorta che aveva in corso un piccolo ictus. TIA, attacco ischemico transitorio, che si è risolto piano piano. La mia amica ha pensato: se l'avesse portata in ospedale sarebbe rimasta sola, a fare tante analisi e controlli che poi non avrebbero cambiato la situazione nella sostanza, confondendola ancora di più, e ha deciso di tenerla a casa. Noi non saremmo stati in grado di prendere una decisione simile. Che sarebbe stata la più sensata, probabilmente. Non siamo né medici né paramedici. Quindi da una settimana la mia suocera è ricoverata. Una vota al giorno ci danno notizie. Le analisi sono migliorate, ha ripreso i sensi, è tornata in catalessi, si è svegliata di nuovo...Un pomeriggio hanno chiamato mio marito. Tre volte. Io ero nell'oliveto. Gli hanno chiesto se era d'accordo di farle una o due trasfusioni. Lui ha detto subito di sì. Di fare tutto quello che si poteva per tenerla in vita. Poi è venuto a dirmelo e io mi sono arrabbiata parecchio. Gli ho detto che chiamano per queste cose per sentirsi dire di no. SE poi chiamano tre volte dovrebbe essere evidente. Perché la trasfusione è un'ipotesi, e se non te la proponessero potrebbero avere delle conseguenze anche penali, potrebbero essere denunciati, ci sono parenti che tengono molto alla pensione e cercano di allungare i ricoveri, di non tenerli a casa, ma fanno di tutto per tenere in vita i congiunti. Ma fare una trasfusione a un paziente terminale non ha alcun senso, la vita si prolunga, ma di quanti giorni, e in che condizioni? Non ha già sofferto abbastanza? Forse la cosa che si doveva fare era tenerla a casa e lasciarla morire qui. Abbiamo litigato, lui ha detto che non se la sentiva di essere lui a ucciderla, di premere il pulsante. Io gli ho detto che era una cosa molto drammatica e teatrale, ma del tutto falsa, che si trattava solo di lasciare che le cose facessero il loro corso, che era accanimento terapeutico, ne aveva mai parlato sentito parlare? Sì, moltissime volte, ma non aveva voluto ascoltare. 

Poi mi son fatta passare l'arrabbiatura, che dipendeva anche dal fatto che sono esasperata, da questa cosa lunghissima che sembra infinita e dal resto che esaspera tutto il mondo in questo momento. E mio marito mi fa pena, perché questa donna è la sua mamma, e non la mia, e vederla in queste condizioni è disturbante, ma forse se anche una volta sola l'avesse pulita lui, avrebbe capito meglio e sarebbe stato capace di prendere decisioni dure ma necessarie.  Adesso dall'ospedale prospettano di rimandarla a casa. Se sopravvive, ma con le trasfusioni e le cure forse tornerà. Avrà il catatere per la pipì. Almeno starà asciutta e si avrà a che fare solo con la cacca e i sacchetti di pipì da svuotare, però possono venire infezioni urinarie. Credo avrà una flebo fissa perché non si riusciva più a idratarla solo con cibo e bevande. Prospettano un materasso ancora più speciale. E le infermiere per le medicazioni delle piaghe, Andrà girata ogni due ore. Per quanti giorni non so. Uno, due, o due settimane, tre mesi...un altro anno? 

Mi sembra di essere caduta in un incubo da cui non si riesce a svegliarsi. Questi giorni che non è qui invece di riposarmi mi hanno fatto pensare, cosa che facevo poco finché era presente. Pensavo poco, scrivevo poco, guardavo stronzate in televisione per mettere la testa da qualche parte che fosse innocua, ma niente è innocuo e poi la sensazione di vuoto fa un po' paura. La cosa utile è stata come sempre lavorare all'aperto. Stanotte non ho dormito quasi niente. Mi trovo meno preparata di 20 mesi fa, ma fin qui ci siamo arrivati e arriveremo in fondo.