voler morire

 Sono giornate difficili. Per qualche giorno ho tolto l'ultimo post. Avevo un po' di preoccupazione che passasse di qui mio marito, o una delle mie figlie, o un parente, e si sollevasse un polverone. Ora lo pubblico di nuovo. La mamma di mio marito è ancora in ospedale, lunedì saranno 15 giorni. 

 Una mattina ha chiamato un geriatra dal reparto dove è ricoverata per parlare delle dimissioni. Mauro non c'era e ci ho parlato io. Ha detto che la signora è "all'ultimo chilometro", che una volta a casa avremmo dovuto tenerla qui, senza cedere alla tentazione di chiamare l'ambulanza se la vedevamo peggiorare, perché non ha più senso intervenire. Lo capisco bene, perché era qui e la vedevo. Mauro e io abbiamo parlato, poi ha parlato coi medici e coi suoi parenti e ora è molto più sereno. Sa di aver fatto quello che poteva, di aver perfino superato i propri limiti e  mi sembra tranquillo. Io lo sono di meno. Sto facendo un muretto e penso, da sola. Mi condanno e mi assolvo, a intermittenza. Poi è pur sempre una morte, una persona che c'è e non ci sarà più, un altro pezzo di vita che si conclude. Ieri era il giorno previsto del rientro, ma dall'ospedale hanno detto che si era molto gonfiata e l'avrebbero tenuta lì, perché noi sicuramente vedendola in quel modo non avremmo sopportato di non poter fare niente e avremmo chiamato di nuovo l'ambulanza. Ora aspettiamo lunedì.

Hanno rimandato il rientro più di una volta. Per prepararlo ci hanno portato a casa un grosso materasso nuovo a aria. Mauro è stato convocato da una nutrizionista in ospedale, che gli ha dato delle confezioni di alimenti supernutrienti, un addensante per l'acqua, perchè la sua mamma non riesce più a deglutire bene, e ha scritto delle raccomandazioni. Possiamo darle da mangiare anche cibi dolci, panna cotta, mascarpone, finora quasi vietati. Anche frutta, e omogeneizzati e creme di cereali, parmigiano, uova. Ma io non credo che mangerà tutte queste cose, se tornerà mangerà poco, come ha fatto negli ultimi tempi, e non si riuscirà a nutrirla come si dovrebbe. Ma poi come si dovrebbe per cosa?

In tutto questo la mia parte razionale ascolta, osserva e trova grandi contraddizioni. Il geriatra dice che questa donna è alla fine. Che almeno non soffre perchè le hanno messo un cerotto di morfina. Che se peggiora non si deve intervenire, ma chiamare la dottoressa e forse solo verificare che il dolore non sia aumentato. Però ci raccomandano di nutrirla molto e spesso, con cibi supernutrienti. Da una parte si lascia andare dall'altra si trattiene. Mia figlia ha detto che è assurdo che non riesca a morire, lei che aveva visto una sorella nelle stesse condizioni e si augurava che non le succedesse. Si sente impotente, mia figlia, molto affezionata alla nonna, le sembra impossibile non poterla aiutare. Dà la colpa alle medicine che allungano artificialmente la vita. Io proprio non so. Mi pare una faccenda molto misteriosa, vedo giovani morire presto e con facilità e vecchi struggersi con questa lentezza estenuante, per sé e per chi ci vive insieme.  Mi torna in mente una cosa che scrisse Karen Blixen ne "La mia Africa". Nella lingua swahili non c'è la parola morire, ma solo voler morire. Il morire presuppone una volontà, un'adesione, forse. E magari finché questa non c'è non si riesce. 

L'anno scorso è morto il marito della mia amica Antoinette. Aveva il Parkinson e altri problemi e era spesso in ospedale. La famiglia è stata seguita e hanno partecipato a degli incontri, che lei ha trovato molto utili. Nel corso dei quali si parlava della lunghezza di queste malattie, di come logorino i famigliari, di come non si deve sentirsi in colpa, ma concedersi degli spazi di recupero. Noi, per il Covid e altro, non abbiamo potuto usufruire di niente del genere, però abbiamo fatto dei colloqui con gli psicologi. Ne usciamo comunque abbastanza acciaccati. Se c'è una cosa che queste situazioni riescono a fare molto bene è portare alla luce tutti i problemi e le difficoltà che non abbiamo voluto o potuto affrontare o non ne siamo stati capaci.