Endometriosi, post 2. La diagnosi

Nel post 1 ho raccontato l'inizio, ma c'è un altro inizio possibile e è il giorno della diagnosi. Finché le cose non le sai,  finché non gli dai un nome, non si può dire che sia iniziata la storia, anche se ci stai dentro con tutti e due i piedi. Erano passati gli anni, pochi ma densi, in cui da ragazzina si diventa donna e mia figlia aveva ancora dei disturbi, che a un certo punto peggiorarono, e era fidanzata. Decise di andare dal ginecologo e scelse una donna, che lavora nel servizio pubblico. L'accompagnammo anche io e la sorella più grande. Ci andai anch'io perché a quel punto il sospetto dell'endometriosi ce l'avevo e volevo avere una risposta certa, sentirla con le mie orecchie. Non volevo che tornassero a casa e si fossero dimenticate di chiedere o avessero avuto una risposta vaga. La ginecologa disse che aveva una ciste che si crea e si sgonfia con il ciclo mestruale.  Escluse l'endometriosi in modo categorico e disse che bisognava fare dei controlli ogni tanto, vista la situazione, ma non c'era da preoccuparsi. Tornammo a casa più tranquille, si va dal medico perché se ne intende, è il suo mestiere, poi la dottoressa era in ospedale, faceva parte di un'équipe, e se aveva qualche dubbio poteva sempre rivolgersi ai colleghi, consultarli. Da una donna ginecologa ci si aspetta anche un po' di partecipazione in più, empatia? Va bene, anche nel caso che non ci sia empatia, almeno un minimo tentativo di mettersi nei panni della paziente.

 Sennò, se non si fosse sicuri della competenza specifica, si potrebbe andare dal calzolaio, o dall'elettricista, a farsi dire qual è il problema. 

Da quella prima visita passarono sei anni, con altre visite, sempre dalla stessa dottoressa, sempre più inconcludenti, perché il dolore mestruale è dato per scontato e la dottoressa cambiava ipotesi ogni volta un po', sempre manifestando un'assoluta sicurezza e padronanza della situazione. Ovaio policistico, ciste cioccolata...ogni volta mia figlia tornava con una malattia diversa. Mai grave però, mai troppo seria. Non l'accompagnavo più, era grande e fidanzata, e l'accompagnava il suo ragazzo. Poi con questo ragazzo si lasciarono. Nel gennaio 2016, dopo 6 anni dalla prima volta, la stessa ginecologa disse a mia figlia che doveva fare un test per l'endometriosi, che era stata esclusa assolutamente sei anni prima. Mi ricordo che era un periodo di problemi di salute, Mauro aveva fatto una visita per un dolore al ginocchio e eravamo concentrati su quello, pensando che avrebbe dovuto operarsi, e quando mia figlia mi disse delle nuove analisi mi innervosii abbastanza. Dopo tutto quel tempo ancora si brancolava nel buio?

Mi imposi e le dissi che con i risultati doveva andare da un altro ginecologo, per avere almeno un altro parere. Chiesi consiglio a una cara amica, come una sorella, che fa il medico. Ci consigliò  un ginecologo in pensione che faceva ancora la libera professione e è bravissimo nel fare e leggere le ecografie.  Mia figlia era molto scoraggiata e stanca dopo tanti anni di problemi di salute, che avevano portato con sé tante conseguenze di cui ora non voglio parlare. Per la terza volta la accompagnai, era la terza considerando la prima quando era ancora una bambina. Entrò da sola col suo pacco di ecografie, fogli scritti, farmaci, mi fece pena vederla entrare col suo carico di documenti sanitari... Mise tutto sul tavolo e disse al dottore: "Ma lei, me lo sa dire che cosa ho?"

Il dottore le fece l'ecografia e in dieci minuti le diede la prima diagnosi vera della sua vita di donna. Quel pomeriggio freddo di febbraio 2016 iniziò una cosa nuova, perché ora si sapeva, con ragionevole sicurezza, con che cosa aveva avuto a che fare lei, e anche noi, per tanto tempo. Il medico lo disse anche a me, dopo che l'aveva visitata e poi mi aveva fatto entrare. C'era un focolaio di endometriosi, presente fino dalla prima ecografia fatta a 14 anni, quando aveva le mestruazioni emorragiche, ma neanche il medico di allora l'aveva sottolineato come problema. Però qualche anno prima, nel 2010, data ricostruita in seguito da mia figlia, doveva avere avuto un episodio di tipo influenzale, o un virus, qualcosa che le aveva letteralmente bruciato la pancia. Forse, disse il dottore, non se ne era neanche accorta, poteva aver avuto un disturbo intestinale forte che poi, siccome era molto giovane, aveva superato senza farmaci, e non aveva pensato a conseguenze,  ma l'episodio aveva lasciato quel danno che ormai era irreparabile. Se ne vedevano gli esiti, così come si vede un edificio danneggiato dopo che è scoppiata una bomba. Quegli esiti si vedevano anche 6 anni prima. Anche ora che lo scrivo mi viene da piangere.  Il medico aveva aspettato che entrassi io per dire un'ultima cosa, pensando forse che la mia presenza sarebbe stata utile, perché mia figlia poteva prenderla male. 

"E' compromessa..." disse così e lasciò in sospeso. Finii io, perché avevo capito:  "La fertilità" dissi. Mi si aprì una gran dolore in petto e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Il medico continuò:  un'ovaia e l'utero erano attaccati con delle aderenze alla parete interna, e era anche questo a causare dolori mestruali tanto forti. 

"Non bisogna credere, disse, a chi dice che si possono avere figli ugualmente, può succedere, ma è raro e piuttosto ci si deve abituare all'idea di fare la fecondazione assistita..." continuò parlando di strutture, anche vicino a noi, dove queste cose si fanno senza spendere un patrimonio. Io piangevo e mia figlia reagì con molto coraggio e mi disse: "Dai mamma, che mi fai vergognare". Disse che, bambini, non aveva mai pensato di averne e che quindi non era un problema. Invece era contenta di sapere cosa aveva, finalmente, e ringraziò tanto il medico.

Chiesi come poteva la ginecologa non aver capito niente per sei anni, sei anni di dolore inutile, di frustrazione, incomprensione, fatica, anche problemi psicologici, quando lui aveva fatto la diagnosi in pochi minuti. Il medico, mortificato, si strinse nelle spalle e provò a giustificare la collega più giovane, che conosceva bene. Non sono diagnosi facili, disse. E in seguito disse anche che non provassimo nemmeno a denunciare la collega, o a chiedere i danni, perché non sarebbe stato semplice ottenere ragione. Si capiva bene che l'ospedale avrebbe fatto quadrato intorno alla dottoressa per proteggerla. Non ne avevamo intenzione, non siamo i tipi a cui viene subito in mente il risarcimento in denaro, anche se parecchie volte ho desiderato che ci fosse un po' di giustizia e pagasse l'incompetenza e la superficialità. Mia figlia  fece poi, dopo alcuni mesi, una laparoscopia per confermare la diagnosi e ripulire, cosa che si doveva fare 6 anni prima. L'operazione è servita soprattutto per confermare la diagnosi perché le aderenze si riformano e non può considerarsi terapeutica, ma per un po' ha avuto meno dolore, se non ricordo male. La terapia, dopo l'intervento, doveva essere una pillola che impedisce il ciclo mestruale, provocando una specie di menopausa anticipata. Non è bella, la menopausa anticipata, non è una cura, ti fa stare male, ma la devi accettare per non avere problemi più gravi. Lei poi non ha preso quella pillola, ne ha presa una più leggera, e ha sopportato male anche quella, e è cominciato un altro periodo, vorrei dire un calvario, ma non voglio esagerare, di farmaci male o per niente tollerati, che provocano disturbi collaterali difficili da affrontare e perfino un anno e mezzo di guarigione "miracolosa", miracolosa perché inspiegabile, ma effimera, purtroppo. Ecco: il giorno della diagnosi vera, nel febbraio 2016, forse posso considerarlo l'inizio, ma tutta la storia era iniziata molto prima, ed era stata tanto aggravata e peggiorata da un medico presuntuoso, incompetente e indifferente, e purtroppo, mi dispiace doverlo dire, era una donna. Solo qualche mese prima parlavo con un amico che aveva una persona di famiglia seriamente malata e gli avevo detto, nella mia solita maniera diretta e priva di fronzoli, o di tatto, che in questi casi bisogna stare attenti perché tutta la famiglia si ammala. Era quello che vivevamo in casa nostra e non l'avevo capito per niente.