Chi pone attenzione, in mezzo alle guerre spaventose aperte, in mezzo ai gravi, costantemente gravi, problemi economici, in mezzo alla carenza di materie prima e di democrazia, in mezzo alle costanti ingiustizie che perpetuano le guerre, fra storie di burini, primi ministri e famiglie "tradizionali", chi pone attenzione, dicevo, vede che c'è un tema che sta nel fondo di questi tempi. E' il problema della coscienza. Che cos'è la coscienza, un fenomeno fisico, che "emerge" dall'attività elettrica e chimica del cervello? O un campo energetico che permea tutta la realtà, e in questo immenso campo anche le nostre singole coscienze sono campi più piccoli, "parti intero di Uno"( cit. Faggin)? 

Una di queste mattine ascoltavo radio tre, una giornalista riportava il contenuto di un articolo apparso su Internazionale, dal titolo "Conversazioni animali". Topi che cantano, ma noi non li possiamo sentire perchè lo fanno a frequenze non percebili dall'orecchio umano, ergo: per noi non lo fanno, non cantano. Quante cose ci sfuggono perché non siamo in grado di ascoltarle, vederle o comprenderle, quante ne archiviamo come non importanti? Il cantare dei topi è un modo di comunicare, un linguaggio. Quando ero bambina io si cominciava appena a rendersi conto che gli animali comunicano fra loro. Probabilmente lo fanno anche inter specie, come noi lo facciamo con gli animali domestici e di meno con i selvatici. E loro con noi. Quanti umani sanno cosa sta pensando il proprio gatto o cane? O perfino la propria gallina? E se in generale possono sembrare illazioni prive di fondamento certe volte si capisce che non lo sono, perché l'umano prevede il comportamento del proprio amico animale con esattezza, e così fa l'animale in altri casi. Il cane sa, anche prima che il suo umano metta le scarpe o prenda il guinzaglio, che stanno per andare insieme a fare una passeggiata. Oppure, anche se l'umano ha messo le scarpe e preso la giacca, sa che questa volta non lo porterà con sé e torna a cuccia con la faccia delusa. Eh sì, perché l'umano legge anche la delusione nell'espressione del suo amico. E' una lettura accurata, facile nella faccia e nel comportamento del nostro cane o gatto, più difficile se l'animale non è il tuo. Perché? Viene da chiedersi. Credo che dipenda dall'affetto che ci lega insieme. L'amore, (anche questo legame è una forma di amore), non è mai indifferente.  Quando uscì in libreria "L'anello di re Salomone" affascinata dal titolo e da quello che annunciava la presentazione, lo comprai subito e l'ho amato moltissimo. Parla di etologia, lo studio delle abitudini degli animali. Ora forse dovremmo cambiare nome alla materia. Studio delle coscienze animali, magari. Abbiamo studiato gli animali fin qui stupiti di trovare in loro qualcosa di nostro, che ci somiglia. In preda, noi, a una visione antropocentrica. Ora piano piano questa visione si sfalda, attaccata da più parti. Pensiamo agli studi famosissimi di Stefano Mancuso, che ha contribuito a inventare la neurobiologia vegetale, che studia i segnali e la comunicazione delle piante a tutti i livelli di organizzazione biologica, dalla molecola alle comunità ecologiche. (Le parole in verde escono sul web se si digita il nome dello scienziato.) Anche le piante comunicano, si dicono cose. Anche le piante ci somigliano? O siamo noi che somigliamo a loro che precedono moltissimo la nostra comparsa sul pianeta? E' un pezzo che mi si è formata questa idea: non loro come noi, ma noi come loro. Noi come le piante, ma soprattutto come gli animali. Ci si chiede a volte se gli animali abbiano emozioni degne di questo nome. Chi vive con animali sa con sicurezza assoluta che ce l'hanno. La scienza ha cercato di mantenersi nel campo dell'oggettività, del tenere una distanza fra osservatore e osservato. Se ti affezioni alla scimmia che stai studiando è un male, puoi influenzare la ricerca, devi riacquistare freddezza, distacco. Rimettere le cose a posto, io qui, tu lì, senza muoverti, senza permettere all'emozione di inquinare l'osservazione. Pirsig nel suo libro "Lila" dice che in certi casi non è possibile, in antropologia culturale, per esempio. Se vuoi comprendere un fenomeno ci devi entrare, devi farti coinvolgere. Ma la fisica più recente dice che il solo fatto di osservare influisce sul fenomeno osservato, lo cambia. 

Diciamo così: pensieri sparsi.