Pandoro, ma non era lui.
Mauro credeva di aver comprato un pandoro, ma non era lui. Una mattina dopo le analisi del sangue mi sono fermata a fare colazione dal Pierozzi a Pieve al Toppo. Mi piace il Pierozzi, panificio, pasticceria e bar, grandi vetrate su un posto brutto, un parcheggio con dei capannoni intorno, ma quasi non importa, il locale è di acciaio, vetro e molto legno lasciato al naturale, molto piacevole. Verrebbe voglia di stare lì a scrivere col computer un paio d'ore, seduti a un tavolino, con la gente che sciama intorno, entra e esce, chiacchiera. Mi hanno dato, dal Pierozzi, un vassoio con il cappuccino e il cornetto. Sul vassoio un foglio di carta con la foto di un dolce e scritto sopra "l'essenza del panettone" o roba del genere. Un panettone senza niente, né canditi né uvetta, un panettone tutto bianco, o giallino.
Intanto Mauro aveva comprato proprio quello, di una marca famosa, scambiandolo per un pandoro. Capolavoro bianco, si chiama.
Non so perché, mi ha indotto delle riflessioni.
Intanto, evidentemente è una moda. Se lo fa il Pierozzi e lo fanno delle marche presenti in tutti i supermercati dev'essere una moda, un nuovo corso. Qualcuno deve averci studiato, ricerche di mercato o semplicemente i cellulari che ascoltano e quando dici che ti fa male l'anca ti propongono montascale, apparecchi ortopedici, farmaci e perfino ospedali specializzati. Una parte dei consumatori è arrivata, non ne può più, devono aver pensato ascoltando le nostre conversazioni. Trasformiamo quest'esigenza in un prodotto desiderabile. La semplicità desiderabile, l'essenzialità. Infatti il Pierozzi ha scritto l'essenza del panettone. Ci sono ancora pandori e panettoni e dolci ripieni di qualunque cosa, creme dolcissime e stucchevoli, cioccolate sopra sotto e dentro, ma si vede che c'è anche chi non ne può più di tutti questi miscugli sovrabbondanti. Forse è rimasta dopo il covid e la cucina di casa la voglia o il bisogno di cose più semplici, meno caricate, più sobrie, il dessiderio di tornare a un'identità conosciuta nell'infanzia. Complice l'età media alta della maggioranza della popolazione. Boomer, ci chiamano, e io mi innervosisco parecchio. Cosa abbiamo in comune oltre l'essere nati in un certo arco temporale? Qualche volta proprio niente. Comunque: meno sapori, meno stranezze, meno accostamenti audaci. Lo dico io che ho lavorato nei ristoranti a partire dall'anno 2001, anzi proprio dal 12 settembre 2001, il giorno dopo il crollo delle torri a New York. L'11 settembre ero nel campo di là dal cancello e stavo seminando le rape in ritardissimo. E' arrivata la Fiamma e mi ha detto " Hanno fatto crollare le torri gemelle di New York!" Era sorpresa anche lei che di solito si scompone poco. Da quella infinitesima posizione nell'oliveto ho provato una fitta di paura e dolore e ho pensato che il mondo era a una svolta. Nelle cucine dei ristoranti era il momento degli chef, delle scoperte e riscoperte, la cinta senese, il risotto con il cavolo violetto, che viene di un bel colore lilla, e la fonduta bianca messa dentro come in un nido; i ravioli con le pere, i formaggi rari, il filetto di maiale con le prugne, gli accostamenti esotici... e ora è, almeno per me, il momento della nausea, quasi, del ritorno alla semplicità. Così mi sono sorpresa di vedere anticipato questo desiderio, che non riguarda solo la cucina, anzi, coinvolge tutto il resto, il vestire, l'abitare, l'usare. Vedremo.