Perfect days

 

Sono sempre di più dell'idea che i film vadano visti senza leggere e sapere nulla, almeno io. Invece si è sommersi da notizie, ci si inciampa anche non volendo. Vidi "Ritorno alla vita" anche quello di Wenders, per caso, su tv 2000, e mi piacque moltissimo, mi sembrò strano non averne sentito mai parlare. Credo che questo film mi avrebbe fatto lo stesso effetto se non ne avessi sentito parlare troppo. Ora riesco a dire solo cose molte pensate, molto mentali. Come diceva uno che conoscevo "non vi mentalizzate!" e mi faceva ridere. Ora questo verbo inventato lo usano in tanti. 

In un certo senso le troppe parole lette hanno tolto un po' di poesia, forse lo rivedrò fra un po' e riuscirò a entrarci meglio. Penso che senza saperne niente l'avrei apprezzato di più, mi avrebbe "emozionato" di più. Però mi è piaciuto molto! Va nella scia di cose che vivo.

Ho letto delle recensioni che mi hanno fatto un po' innervosire. Il film viene elogiato, perché uno che scrive una recensione su internet e su Wenders, non può permettersi di scrivere che il film non gli è piaciuto o non l'ha emozionato, altrimenti chissà che succede. Insomma, se parli di uno che è riconosciuto come un grande regista non puoi parlarne male, anche se non ci hai capito niente. I vestiti nuovi dell'imperatore, avete presente?  Uno di questi recensori per prima cosa elogia, poi dice che il protagonista è un fantasma sganciato dalla realtà perchè non ha televisione e usa poco il telefono e solo come telefono

Ma allora ti piace o ti fa venire l'angoscia? 

Un altro sembra che sia stato catturato dalla magia del film, ma non riesca a cogliere il nucleo, perché quello che vede lo sconcerta nel profondo, ma anche lo affascina. Un altro dice che il film si chiede quale è il senso della vita e non dà risposte, anzi la risposta è che il senso della vita sta nel viverla tutti i giorni per monotona, noiosa e sempre uguale che sia. Il labirinto del famoso topo di laboratorio.

 Sembra che il film di Wenders apra una porta su se stessi, e il panorama sconcerta. Forse chi non è abituato a osservare il proprio panorama interiore resta turbato o non coglie la bellezza. Wenders non imbeletta, non cede alla fotografia ritoccata, usa pochissime parole, si ferma su una cosa bella solo un attimo, come l'immagine dell'aurora boreale all'alba o le piantine raccolte nei parchi pubblici. Le cose sono come sono, pare che voglia evitare di offrire allo spettatore stimoli troppo facili. Metto qui pezzetti di due recensioni, ognuna delle due afferra qualcosa e si perde parecchio.

IGN Italia:  Perfect Days non disegna tuttavia una vera e propria parabola a livello drammaturgico, limitandosi appunto a fotografare la condizione di chi vive in un eterno presente: il protagonista è una sorta di spettro – forse un semplice ricordo - con le sue musicassette, i cimeli provenienti da un’altra epoca e le foto custodie in scatole di latta sigillate; proprio come un fantasma è legato ad alcuni luoghi, ma sconta la dolce condanna di esistere fuori dal tempo. Il rituale sempre uguale delle pulizie nei bagni diventa allora il metronomo di una normalità senza soluzione di continuità, eppure ricca di dignità e di sorprese.


...alla fine del film, quando il presagio della morte diventa ancora più tangibile. Non possiedono però alcuna connotazione sinistra, bensì lo pongono alla pari di tutti gli altri ed evocano dolcemente la natura eterea dell’uomo, capace di trascendere la mondanità con un piede già piantato nell’aldilà. Opponendosi al desiderio, Hirayama combatte il tempo e allontana il domani, esorcizzando così la propria fine; d’altronde, cos’è la vecchiaia se non un eterno presente dove il futuro ci appare negato e il passato svanisce lentamente 

WIred Italia: 

Perfect Days fa innamorare di questa vita apparentemente priva di tutto (il protagonista abita in una casa spoglia in cui esiste solo l’essenziale) ma in realtà scremata del superfluo, in cui a trionfare è l’ideale del bene comune. Ci saranno difficoltà, questioni da risolvere, personaggi negativi e tutto quello che solitamente avviene nei film, eppure ciò che rimane più impresso è questa cura di qualcosa che appartiene a tutti, rappresentata nella maniera che meno ci si aspetta, dalla pulizia dei bagni. Questo, già nelle intenzioni di Wenders, è il punto del film: provare a girare una storia che riavvicini tutti quelli che la guardano all’idea di bene pubblico, alla sua cura e all’immensa soddisfazione che esiste nell’unire la coltivazione dei consumi culturali (il protagonista fa foto su rullino oltre come detto a leggere e ascoltare musica), a una routine lavorativa semplice e ai rapporti occasionali con le persone che incontra o i ristoranti in cui mangia.

Penso, per quel minimo che so dell'argomento, che il film parli della filosofia zen incarnata. D'altra parte lo zen non esiste se non incarnato, è una pratica, è vita. Lo zen è giapponese; non tutti i giapponesi sono zen, immagino, ma forse molti capiscono di che si tratta. Lo zen è anche, nei nostri tempi, universale, il pianeta è diventato piccolo e gli strumenti vanno condivisi. Lo zen, così piccolo e essenziale, come un coltellino svizzero, può funzionare bene anche fuori dal Giappone. Se ne può parlare, ma si parla di piccole cose, come la vita senza eventi eclatanti di questo signore che vive in una casa semplicissima a Tokio. La casa sembra anche povera, non misera, c'è tutto quel che serve ma ridotto all'essenziale. Per campare pulisce i gabinetti pubblici. Pare che il film prima dovesse essere un documentario sulle toilette pubbliche di Tokio, tutte interessanti, progettate da designer, alcune molto belle, tutte molto pulite perché Hirayama si impegna molto nel suo lavoro. Non moltissimo, come dicono alcuni. E' uno che fa bene, accuratamente, il suo lavoro. I maestri zen riducono la pratica spirituale all'essenziale, non servono corsi delle più fantasiose discipline, non serve ritirarsi a fare esercizi spirituali o seguire rituali, dicono che per praticare bisogna, e basta, (condizione necessaria e sufficiente, diceva la signorina Locchi, nostra insegnante di matematica al liceo) compiere le azioni quotidiane, tutte, dal lavarsi al mattino al prepararsi il cibo, fino al lavoro, prestando attenzione completa e svolgendole nel migliore dei modi. Trovo in internet parole non mie adatte : 

Da "Zen in the city", ispirato al maestro Thich Nath Han

"Portando l’attenzione prima di tutto sul respiro, siamo in grado di unificare corpo e mente, e di arrivare pienamente nel momento presente; a questo punto possiamo essere più consapevoli di tutto ciò che succede nel momento presente e possiamo vederlo con occhi nuovi, senza lasciarci catturare dal passato o trasportare dalle preoccupazioni per il futuro. Sai che il futuro è solo un concetto. Il futuro è fatto di una sola sostanza: il momento presente. Se ti prendi buona cura del presente, non c’è bisogno che ti preoccupi per il futuro: prendendoti cura del presente stai già facendo tutto quello che puoi per assicurarti un buon futuro. Dovremmo vivere il momento presente in modo da rendere possibili la pace e la gioia nel qui e ora – in modo che l’amore e la comprensione siano possibili. Questa è la cosa migliore che possiamo fare per il futuro.

Ancora più esplicito:

Ogni atto consueto può essere trasformato in un atto di consapevolezza: lavarsi i denti, lavare i piatti, camminare, mangiare, bere o lavorare. Naturalmente la consapevolezza non si applica solo agli aspetti positivi: quando si manifesta la gioia pratichiamo la consapevolezza della gioia, quando si manifesta la rabbia pratichiamo la consapevolezza della rabbia. Qualunque sia l’emozione forte che sorge, se impariamo a praticare la consapevolezza di quell’emozione, riconoscendola e non sopprimendola né agendo di conseguenza, allora può avvenire la trasformazione che ci mette in grado di trovare maggiore gioia, pace e consapevolezza.

Piccola lezione sulla Presenza. In Internet ne trovate quante ne volete. Ma non servono a niente se resta solo una lezione, se non si prova a cambiare sguardo. Tempo fa ho letto "il potere di adesso" di Eckart Tolle e mi ha fatto cambiare prospettiva. La prima recensione parla di un fantama che vive in un eterno presente, come Bill Murray nel Giorno della Marmotta. Perchè?, mi chiedo, chi ha scritto la recensione riesce a vivere ieri o domani? A me non mi riesce, mi ci va la testa, e è un irrimediabile spreco di tempo. Viviamo tutti sempre solo nel presente e solo qui si può agire.

 Quindi il "fantasma" della prima recensione è uno di quelli, pochi, tanti, non si sa, probabilmente molti più di quello che si pensa, che si muovono nella città di Tokio e sul pianeta essendo presenti a se stessi ora. Forse sono tutti gli altri, persi nel passato o nel futuro, a essere fantasmi? Per questo Hirayama pulisce i bagni così bene, non è scontento, non ha un futuro dove immagina che farà una cosa più importante, fa già una cosa importante ora. Non significa che domani o fra un'ora non possa cambiare, significa che fa bene quello che fa ora. Fa alcuni incontri nel corso del film, il primo con un bambino che piange dentro una toilette perchè non trova la sua mamma. Lo fa uscire, lo rassicura e intanto arriva la mamma agitatissima perché l'aveva perso con il passeggino con un altro figlio, e se ne va senza nemmeno ringraziare. Ma il bambino, che era presente, si volta per salutare Hirayama con la manina. Verso la fine del film invece l'incontro è con un signore ammalato e molto preoccupato. Dice di essere andato a trovare la ex moglie per scusarsi. Poi cambia verbo due volte, e dice che è andato per "ringraziarla", e poi usa "salutarla", prima di morire. Nei verbi usati c'è una consapevolezza sempre maggiore di quello che ha fatto. Prende congedo lasciando tutto dietro di sé, arrivando all'essenziale. Sarebbe bello farlo prima di essere obbligati perché si muore. E' notte e si chiede se due ombre sovrapponendosi diventano più scure. Quante cose non so, quante ne potrei ancora scoprire e il mio tempo è finito! Hirayama gli dice: scopriamolo. Scopriamo se le nostre ombre una sopra l'altra diventano più scure. Forse sì, o no, non è chiaro, poi gli propone di giocare a pestare l'ombra. E il signore così angosciato per quel tempo del gioco torna nel presente, dove ancora la morte non c'è, gioca e ride. Si riappropria del proprio tempo, del proprio presente. Sembra che Hirayama si disinteressi della sua condizione, invece gli fa un regalo, un tempo libero dall'angoscia. E' una riflessione sulla morte? Forse sì, forse la morte è parte della vita e il succo è restare vivi fino alla fine. 

Il film è fatto di incontri di questo tipo, con un collega di lavoro, con la nipote, con la sorella, con le persone dei locali dove va  a mangiare. 

Zen in the city:  Possiamo praticare tutto il giorno e ottenere subito il beneficio della nostra pratica. Stare seduti in autobus, guidare la macchina, fare la doccia, preparare la colazione — possiamo fare tutto ciò con gioia. Non possiamo dire “Non ho tempo per praticare”. No: abbiamo un sacco di tempo. È molto importante rendercene conto. Quando pratichi la presenza mentale e generi pace e gioia, diventi uno strumento di pace e porti pace e gioia a te stesso e agli altri.

 Film bellissimo perché la forma e la sostanza coincidono trascendendo il reale o cogliendo la trascendenza del reale. Necessario, anche; in questi tempi convulsi è il manifesto di come fare per uscire dall'angoscia e vivere nella pace.