che casino capirsi

 Ieri sera parlavo con una donna con cui ho da anni un rapporto di "amicizia" non troppo profondo. Mi ha chiesto una cosa che riguarda la famiglia e le ho risposto. 

"Per questo eri giù l'altro giorno?" 

Essere "giù". Down, dicono in inglese. Semplice, esprime bene. Io dico moscia, che sarebbe poco vitale, con poche energie. Certi pensieri son capaci di svuotarmi. Come si fa a rispondere in breve? Non sono mai stata brava a rispondere in breve, in casa mi hanno sempre detto che comincio da troppo lontano e per la via divago, quindi al punto non ci arrivo mai. 

D'inverno di solito scrivo di più, e ovviamente penso di più. Negli ultimi due anni ho fatto la scoperta del prof. Faggin, Federico Faggin, che mi ha fatto pensare moltissimo. Nell'ultimo mese invece ho scoperto un'anziana psicologa, Gabriella Tupini, che da quattro anni fa dei video su you tube interessanti, alcuni, per me, un po' inquietanti, ma mi hanno aiutato a capire meglio la figura di Jung e a vedere la realtà con un altro punto di vista. Nel frattempo ho ripreso in mano il mio primo testo pubblicato nel 2013 e l'ho cambiato per renderlo più comprensibile e reale. In questi 10, 11 anni sono cambiata e nel racconto che faccio prima di tutto a me stessa non sono più così centrale, mi faccio da parte e emergono altre figure della famiglia e le loro storie, intrecciate con la nostra. Più che intrecciate, sono anche quelle la nostra storia. Il dolore vissuto in prima persona ora si è un poco attenuato e emerge il dolore vissuto da altri e soprattutto dalle mie figlie. La tua ti sembra una storia normale, anche molto meglio della media e scrivendola ti accorgi di quante cose dolorose contenga. 

Era giusto voler avere delle figlie? Era giusto consegnare loro, senza saperlo, questo carico? Cosa posso fare ancora per liberarle? Questo mi fa stare molto male. Giorni fa parlavo con la più giovane, quella che vive qui, e mi diceva come sta. Non benissimo, ma migliora. Ho sempre un po' paura a parlarci, vengono ancora e sempre fuori cose nuove che vivo come rimproveri, ma sono responsabilità. Cose lontane e dolorose che non sono stata capace di governare mentre accadevano e che sono arrivate intere alle mie figlie. Mia figlia sostiene che certe cose hanno saltato me per arrivare a lei e è possibile che sia vero. Forse è più vero dire che mi hanno attraversato e non si sono fermate a me. Credo anche di aver salvato queste figlie da molte cose, credo che poteva andare peggio di così. Credo che anche mio marito abbia fatto la sua parte, nel bene e nel male. Mica ho fatto tutto da me, e c'era anche la famiglia di mio marito. Arrivano anche cose dalle generazioni precedenti, cose misteriose perché non le sappiamo. Lasciano tracce e quelle si vedono, ma per capire cosa significano ci vuole del tempo e anche un valido aiuto.

Mentre parlavo con mia figlia mi è venuto da piangere, mi è uscito un dolore che credevo di non avere più. L'idea di aver trasmesso dolori e forse malattie alle mie figlie mi fa stare tanto male. Non vogliono figli, nessuna delle due. Eppure ci sono parecchi giovani che conosco, che mi sembrano messi anche peggio di loro, che fanno bambini. A me piacerebbe molto avere dei nipoti, ma sto zitta, bocca cucita. Mi chiedo se questi altri giovani siano meno consapevoli di loro, ma anche se essere consapevoli sia questa gran cosa. Per tutto questo, detto in breve, ero "giù". 

Questo avrei voluto dire a questa amica che mi chiedeva perché "ero giù". Ma stava arrivando gente e il discorso si è interrotto. Quindi lei ha capito solo che ero "giù" perché capivo di aver sbagliato con mia figlia. Di aver sbagliato lo so da tanto tempo, tutti sbagliano e non è una battuta; ma mica ho sbagliato tutto. Mi sono molto impegnata nel corso della vita. Per la nascita della prima figlia scelsi il parto dolce e mentre ero lì che partorivo non mi ricordavo  niente, non governavo niente e subito dopo capii che ero stata sopraffatta da tutto quello che ero stata fino lì, però non avevo sbagliato a voler fare il arto dolce. Almeno c'era stata più attenzione, più gentilezza. 

Poi nella vita in mezzo a tante difficoltà ho anche ceduto tante volte alla stanchezza, alla rabbia, alla paura. Parecchie volte non sono stata razionale, perché non mi veniva dal cuore. Ho sempre saputo che non riuscivo a impormi quello che era giusto e razionale se non mi veniva dal cuore, se non aderivo. "Fai così, poi così, e poi così vedrai che funziona", be', con me non funziona. Il "metodo" ragionato. A me l'unica cosa che mi ha funzionato è il cuore, ma ora è un po' gelato, o non l'ho scongelato bene, non lo so. 

Quindi pensavo come è difficile farsi capire. Ora provo a dire una cosa complicata. Il prof. Faggin dice molte cose interessanti, anche entusiasmanti. Dice cose riguardo all'informazione quantistica.  Dice che noi umani siamo sistemi misti, classici e quantistici. Non solo noi, tutta la realtà, dentro di noi c'è vuoto, moltissimo spazio vuoto, siamo un'illusione, sotto un certo punto di vista. Non sono fantasie, è scienza.

 La teoria dell'informazione quantistica ha un teorema che dice che l'informazione quantistica non è clonabile. Cioè non si può riprodurre esattamente, non si può trasferire a altri intatta. La conosce solo il sistema che la prova, che la esperisce. Il prof. Faggin ha anche sviluppato una teoria che sostiene che la meccanica quantistica descriva l'esperienza interiore, che lui chiama consapevolezza. 

L'informazione quantistica è fatta di quantum bite. Ognuno di questi è come una sfera coperta di infiniti punti e ognuno di questi punti è parte dell'informazione, ma quando questa deve essere resa in un computer o in sistema simbolico, come il nostro linguaggio, di questi punti per forza per ogni quantum bite ne esce solo uno, che compone con tutti gli altri l'informazione. Quindi da infiniti punti su molte sfere esce solo un numero definito di bite. Nei computer per ogni quantum bite esce uno zero o un uno. Pensate che incredibile riduzione, eppure le cose funzionano lo stesso, anche se parte del contenuto che si vuole comunicare resta misterioso. Ogni volta che che scambiamo informazioni su computer, ma anche ogni volta che parliamo o scriviamo, e magari raccontiamo "perché mi sento giù", per forza il messaggio è dunque riduttivo non solo rispetto all'esperienza, ma rispetto all'informazione che vorremo far passare di quell'esperienza.  Poi c'è l'altro che lo riceve, che riceve un contenuto per forza ridotto e a sua volta lo filtra attraverso la propria esperienza e spesso attraverso i propri pregiudizi, che magari non sa di avere. Che casino capirsi.

Questo l'ho capito bene e serve a diminuire il senso di frustrazione per questa comunicazione insufficiente. Per capirsi e capire meglio è necessario ascoltare o leggere più volte un contenuto e anche approcciarlo da diversi punti di vista, raccontarlo in più modi o ascoltare più racconti di più individui.  Poi c'è anche il fatto che spesso l'altro, quando parli, vuole insegnarti qualcosa e non aiutarti o anche solo ascoltarti. Per me, ora che ho capito meglio, cerco di stare attenta a non farlo. Cerco di ascoltare.

Mi dispiace Sari, non riesco a modificare l'impostazione dei commenti, chiederò aiuto.