Alluvione: andarsene
Dopo la terza alluvione in Emilia Romagna nel giro di un anno vengono tanti pensieri. C'è stata la folla dei negazionisti del cambiamento climatico che pubblicavano foto di fiumi che portano giù legname, e tutti a dire "altro che alluvione, dipende dalla legna che non è stata rimossa!" poi si dovrebbe capire chi dovrebbe rimuoverla, 'sta legna, perché se toccasse a quelli che postano le foto campa cavallo. Anche i tombini sono sotto osservazione e nessuno può negare che vadano tenuti puliti. Ci sono filmati in cui quasi magicamente sgombrando un tombino si svuota un intero tratto di strada.
Niente insegna come un'esperienza personale, e siccome io e famiglia ne abbiamo avute almeno tre posso testimoniare che sì, la legna va portata via dagli alvei, dalle ripe e forse anche dai campi intorno, ma siccome di acqua ne cade una quantità esagerata quest'azione non è sufficiente. Il ferragosto del 96 fu la prima volta: tornammo a casa nel pomeriggio dopo aver eccezionalmente pranzato al ristorante e la stradina di casa non c'era più. Al suo posto uno scavo fatto dal rovescio di pioggia in cui l'auto sarebbe rimasta incastrata. Toccò andare a casa a piedi, lontano almeno trecento metri e non racconto i problemi dei giorni successivi. Lo considerammo un fatto eccezionale. Nel 2002, che eravamo già qui, ci fu un'altra alluvione del genere e altri fenomeni si sono ripetuti negli anni successivi, li ho raccontati e li trovate nel link qui sopra.
Scrive Paolo Cherubini sulla terza alluvione nel giro di un anno, fra 2023 e 2024, in Emilia Romagna: "Nel bacino del Senio in 24 ore sono caduti quasi 100.000.000 di metri cubi di pioggia, e il torrente il 19 settembre alle 5,30 di mattina si è alzato di 13,9 metri. Se ci fosse stata disponibile la diga di Montedoglio vuota si sarebbe riempita per l'80 % in 24 ore." Si capisce bene che i tombini puliti servono, ma in questi casi a poco. Le casse di espansione sono senz'altro utili, che poi sono terreni liberi in cui il fiume uscendo dagli argini non fa danni, ma queste quantità di acqua riempiono altro che le casse di espansione, e la legna o qualunque altra cosa da trasportare la vanno a cercare molto lontano.
Andarsene
Una soluzione, guardando i fatti con freddezza, è andarsene. Andare a vivere da un'altra parte, in alto, in zone non soggette a frane. Non considerare più abitabili queste zone così frequentemente allagate. Si possono immaginare le reazioni a questo tipo di prospezioni, che pure sono sensate e basate su dati reali. Vedrete che si comincerà a parlarne. O forse si dovrà aspettare la prossima alluvione, purtroppo ormai certa, per parlarne di nuovo. Andarsene, lasciare la casa costruita o acquistata con sacrifici, spostarsi. Dopo aver osteggiato e rifiutato i "migranti" del clima e dell'economia che arrivano da fuori i prossimi migranti saremo noi.
Ragionavo fra me su come sta cambiando il mondo e come lo fa velocemente. Nell'arco della mia vita ormai abbastanza lunga ho visto cose assumere valore, anche moltissimo, e poi perderlo. Gonfiarsi e sgonfiarsi. Le case, per esempio. Il tema della casa è sempre stato importante, per me. Negli anni sessanta, settanta e ottanta era importante avere una casa bella e anche grande. Una coppia giovane si sposava e subito, o anche prima, pensava a comprarsi la casa. Mio padre, nel periodo che fu presidente dell'allora Istituto delle case popolari, diceva che in Italia era una fissa, questa della casa di proprietà, che si sarebbe dovuto considerarla un bene d'uso da restituire alla fine della vita, pagando un giusto prezzo per abitarci. Pensarla così significa pensare a se stessi diversamente, come non eterni, e alla propria famiglia come libera, svincolata da regole. Penso alla mia figlia grande che vive nel Regno Unito, ma anche a quella che sta qui: quando noi moriremo la nostra casa forse invece che un valore sarà per loro un problema: come venderla e che fare della roba che c'è dentro. Ho già cominciato a alleggerire. Ma mio padre aveva in casa sua la prima persona contraria: mia madre voleva una casa di proprietà e possibilmente sua in modo esclusivo. Ora molti giovani pensano alle tiny house, le casette a volte anche trasportabili. 30 mq, o 50 al massimo. All'inizio economiche ora costano come un appartamento, perché il mercato scopre rapido i nuovi bisogni e desideri e li fa lievitare di costo, non c'è modo di sottrarsi, la famosa legge della domanda e dell'offerta. Difatti in proporzione costano di più le case piccole di quelle grandi, per vari motivi, quelle grandi sono più costose da mantenere, da scaldare e raffrescare, e per questo sono meno richieste, e la richiesta minore fa abbassare i prezzi.
La mia famiglia tenne una casa di campagna per 28 anni. Lungo la strada c'era una vecchia villa a pianta quadrata con un parco, quasi abbandonata. Ci viveva un anziano che a volte ne affittava per pochi soldi una parte per delle feste, rave party ante litteram. In quelle occasioni trovavamo lungo la piccola via tante auto parcheggiate così male che si passava a malapena.Quando il vecchio morì la casa fu comprata da due soci, orafi, che iniziarono grandi lavori dentro e fuori. Dal cantiere arrivavano notizie: si parlava di bagni con rubinetti bagnati nell'oro con incastonate pietre dure, e di altri lussi costosissimi. Credo si possa dire senza offendere nessuno che era la realizzazione di desideri di gente che era stata povera fino a poco tempo prima e ora era quasi ubriaca della ricchezza raggiunta. Finiti i lavori ci andarono a vivere, l'avevano divisa a metà e ogni famiglia ne occupava una parte. Dopo qualche anno litigarono forte. Uno dei due voleva andarsene e vendere, ma non poteva neanche sognare di riprenderci i soldi spesi: con tutte le sue cose di lusso era pur sempre una metà di qualcosa, e ci voleva uno che proprio se ne innamorasse e accettasse di vivere accanto a un altro che non era affatto ben disposto, col rischio di ereditare una lite. Poi credo che una delle varie crisi abbia fatto crollare a picco l'oro e si siano ritrovati a abitare una casa che non corrispondeva più alle loro condizioni economiche. Non è solo questione di soldi, è questione del valore che si attribuisce a certi oggetti pensando che l'avranno sempre. Questione di tempo dedicato a qualcosa invece che a qualcos'altro, tempo della vita murato dentro una casa di lusso, nei rubinetti bagnati d'oro, nell'arredamento che ti ha scelto l'arredatore e non ti rappresenta.
I miei genitori prima si comprarono la casa: erano avvantaggiati dal fatto che la mamma aveva già una casa ereditata, vecchia, nel centro storico, ma non erano gli anni che si rimettevano le cose vecchie, non gli si attribuiva valore, e invece si desideravano cose nuove fiammanti. Erano gli anni sessanta del 1900. Vendettero la casa vecchia e andammo a vivere nella casa nuova, intestata interamente a mia madre, all'inizio del 1963; questa storia l'ho scritta e magari un giorno la stamperò, fosse solo per le mie figlie. La casa nuova era un appartamento piuttosto grande al sesto piano di un palazzo nel nuovo quartiere Giotto, dove in quel momento non c'era niente, ma presto ci fu tutto quello che serviva. Intorno all'inizio solo campi coltivati e campagna fertile. Tutto andava velocissimo, le case intorno crebbero come funghi nell'arco di due stagioni.
Comprata la casa, secondo la moda del momento bella e con rifiniture di pregio, cominciarono a arredarla, ma non con mobili in serie. Mia madre non pensava a comprarsi la "camera" con tutti i mobili abbinati, o "la sala", come dicevano tutti. Cominciò, fra i primi in città, a andare a cercarsi mobili dai robivecchi, poi diventati tutti antiquari. A scegliere con criterio poteva aiutarla Ivan Bruschi, che poi nel 1968 fondò la fiera antiquaria mensile, personaggio eclettico, colto e grande collezionista. I mobili che comprò mia madre risalivano per lo più al 1600: una graziosa cassettiera, una grande credenza, dei mobiletti da sacrestia, un tavolino quadrato, una graziosa cassapanca bombata, un pezzo di balaustra da chiesa. Erano begli oggetti, severi, anche abbastanza pratici, abbinati in casa a mobili su misura fatti da un falegname molto bravo, il Galantini. I mobili antichi, antichi davvero, perché in quegli anni consideravano l'800 modernariato senza valore, erano da ritenere investimenti rivendibili in qualunque momento, che anzi avrebbero acquisito valore col tempo. Più di soldi messi in banca. Finito più o meno di arredare casa cominciarono a comprare quadri e qualche scultura. Era il periodo che a Arezzo Piero Greci aveva aperto una galleria d'arte in Piazza San Francesco, "L'Incontro", anni, per me che crescevo, bellissimi e anche questi li ho scritti. Crescere fra pittori, artisti, poeti e appassionati era fantastico. Anche quei quadri e le sculture erano considerati investimenti, in quegli anni a Arezzo vivevano alcuni pittori famosi, come Valmitjana e Franco Villoresi e i benestanti compravano le loro opere, che cominciarono a andare di moda e quindi crescere di prezzo creando una piccola "bolla" locale. I miei non compravano per moda, ma perché amavano certe opere e il lavoro di alcuni artisti: si appassionarono molto a Remo Gardeschi, pittore e maestro elementare a Moncioni, Valdarno, nel comune di Montevarchi. Bellissimo conoscere lui e la famiglia, passare insieme a loro e altri appassionati frequentatori della galleria tante domeniche: venivano Attilio Droandi e sua moglie Vera, anche lui scriveva e disegnava, venivano i fratelli Caporali, tutti e due pittori. La Susanna Gardeschi, la più grande delle figlie, diventò una delle mie amiche più care. Occupa ancora lo stesso posto nel mio cuore, nonostante la sua storia così difficile. Anche le opere di Remo si pensava avrebbero sempre avuto valore, invece ora molti, anche in Valdarno, non sanno più chi è.
Nonostante certi aspetti innovativi della mia personalità alla fine sono una conservatrice molto prudente e statica con un forte senso della famiglia. Anche io davo valore alle cose a cui davano valore i miei. La nostra famiglia a un certo punto è esplosa e ho passato molti anni di sofferenza, però continuavo a far riferimento a quel sistema di valori, sia etici che concreti, e mi sono molto sorpresa quando ho capito che erano cambiati tutti i riferimenti. In un momento di difficoltà provai a vendere un paio di mobili antichi ereditati e mi dissero che quella roba, in senso dispregiativo, il '600, non andava più: ora la gente cercava solo il settecento, ornato, dorato, intarsiato. Potevo trovare da vendere ma a un prezzo stracciato. Comunque è sempre così, se compri, la roba costa molto, se vendi molto meno. Peggio ancora per i quadri e l'arte. Ci rimasi male, ma non tanto per il denaro che pensavo di ricavare, perché tutto quello che avevo considerato importante aveva perso valore. In un mondo che continuava a cambiare vorticosamente certe cose, anche piccole, minime, i mobili di casa, i quadri, i libri, erano state quelle che mi avevano fatto sentire sicura, in salvo. Anche le case, quelle degli anni sessanta adesso perdono di prezzo perché vanno ristrutturate in quanto non sono più all'altezza degli standard energetici e di sicurezza e di cos'altro si inventino e via di seguito. Ora si considera un valore una casa rivestita di estruso di plastica, cioè polistirolo, e quanti anni durerà il "cappotto"? E cosa faremo di quella plastica murata che buttiamo fuori dalla porta e poi ci rivestiamo le pareti? Su questa storia del "cappotto" ho opinioni molto personali.
Il valore degli oggetti è cambiato, si è ridotto in molti casi, aumentato in altri, ora per esempio si capirà per forza che le case costruite in posti pericolosi non valgono più come prima, col rischio forte che vengano spesso sommerse dall'acqua come nelle pianure dell'Emilia Romagna, o delle Marche o della Liguria.
Però poi ragionando sul valore mi sono resa conto che quello vero, immateriale, il valore non l'ha perso mai, forse l'ha aumentato. Crescere fra gente che si interessa di arte, avere ancora in casa i quadri di Remo, la mia adolescenza difficile ma ricca, la lunga strada per l'autenticità, a queste cose un prezzo non si può dare, ma un valore ce l'hanno eccome. E dopo una lunga lunga strada mi son ritrovata più povera, ma più leggera, meno legata al valore in denaro, ma un po' più consapevole.