22 novembre 2025
Ieri sera c'è stato un incontro nella sala del consiglio del nostro comune, qui trovate la locandina con tutte le organizzazioni e associazioni e partecipanti. Da 28 anni Slow Food e il Comune organizzano quest'incontri che hanno per tema l'olio di oliva e l'olivicoltura, perché qui in zona si produce olio di ottima qualità, e è una produzione di eccellenza che però va calando per vari motivi: l'invecchiamento della popolazione che se ne occupa e il clima che cambia in primis e dunque si fanno queste iniziative di protezione di un malato grave, si prova a rianimarlo. Qui il mio interesse si divide fra due cose che entrambe mi attraggono moltissimo: Palestina e olivicoltura, riguardo a quest'ultima suggerisco di cercare su Rai Play un servizio di Geo andato in onda in questi giorni sulla cooperativa di Paterna in Valdarno e ascoltare parlare Marco Noferi, che ne vale la pena. Ho messo un link per capire chi è.
Quest'anno qui da noi hanno pensato appunto di creare un collegamento con chi produce olio in Palestina, in particolare nei territori occupati di Cisgiordania. Siccome iniziative del genere sono rare e di solito utili per informarsi e tenere accesa la piccola fiamma per la Palestina, nonostante che Mauro brontolasse parecchio per l'uscita dopo una cena veloce e per la pioggia fredda e insistente, ci siamo andati. Civitella è un comune piccolo con grande territorio, relativamente poco abitato, è fatto di tanti piccoli posti di cui sono più abitati quelli di passo e di pianura, più comodi, mentre Civitella, che sta in alto e è scomoda, si sta spopolando. Il sindaco, che si chiama Andrea Tavarnesi, è giovane, molto in gamba e attivo, la sindaca precedente, Ginetta Menchetti, piuttosto giovane anche lei, è la referente di Slow Food di zona. Questi incontri che organizza il comune sono "tecnologici", nel senso che ieri sera i partecipanti apparivano su un computer in videoconferenza, uno dalla Palestina, non si è capito da dove, uno da Israele, che sempre Palestina sarebbe, una signora che traduceva da Torino, insegnante di cultura ebraica in un'università della stessa città, una donna che parlava correntemente italiano sempre dalla Palestina, e noi nella sala del comune. Ma sono anche incontri molto semplici e artigianali, lo schermo del computer è proiettato su uno schermo sul muro, che oscilla e ondeggia se qualcuno muove l'aria passandoci accanto e questa cosa non disturba, fa un po' ridere, ma anche tenerezza. "Se si vuole si puole", si direbbe a Arezzo, ci si ingegna, ci si mette ingegno e cuore. Eravamo un po' di persone, non tanti, presenti nella sala. Hanno parlato un giovane di un'associazione che si chiama "un ponte per" che ha descritto quello che fanno e la situazione attuale in Palestina, e una signora che vive nel nostro comune e fa parte di un'altra associazione israelopalestinese, "Combatants for peace". Poi una donna con un nome non suo, perché evidentemente preferisce non far sapere chi è, che fa quelle azioni di protezione degli abitanti in Cisgiordania e ha descritto la situazione lì, drammatica, perché i cosiddetti coloni, (bande di barbari invasori, nota mia), ora che sono appoggiati dal governo in modo esplicito non hanno più alcuna remora nell'assaltare i villaggi e distruggere le povere coltivazioni con gli stessi mezzi che le famiglie palestinesi usano per vivere, cioè fanno entrare greggi di capre che come si sa mangiano tutto quello che è verde e per farlo salgono anche sugli alberi. Oppure arrivano direttamente a distruggere gli oliveti e le case, armati, con sempre nuove "leggi" ad hoc alla mano, come bene illustra il film "No other land". Infine hanno parlato altri due uomini, un palestinese e un israeliano, dell'associazione "Combatants for peace", che hanno raccontato molto brevemente, entrambi in ebraico moderno, con la traduzione della signora che si trovava a Torino, le loro esperienze. Tutti e due riconoscendo l'inutilità della lotta armata per risolvere in modo definitivo la situazione e raccontando come sono arrivati a essere amici.
Sono giunta all'età che alle 21,30 mi si chiudono gli occhi. mettiamoci anche che seguire era faticoso per la necessità continua di traduzione. La parte più interessante come al solito era quella finale: interessante notare che tutto si svolgeva in lingua ebraica. C'era questo partecipante palestinese, il cui nome non compare nella locandina, ma a un certo punto è sparito, perché l'energia elettrica gliela fornisce un pannello solare e immagino una batteria, ma aveva esaurito la disponibilità e fino al mattino dopo non poteva comunicare più con nessuno, se non col cellulare, forse. Da quel momento l'unico interlocutore è rimasto il signore ebreo, Elie Avigdor, ingegnere, da quel che ho capito, che ci ha raccontato la sua versione dei fatti, non che sia una cosa negativa, ma è la sua versione, tutti raccontiamo la nostra versione, non potendoci trasferire nel corpo di qualcun altro. Ha detto che la gente a Tel Aviv vive come in pallone, isolata, senza sapere cosa succede nel resto della Palestina, per loro va tutto benissimo. Non sanno nulla di come vengono trattati i coabitanti palestinesi. Poi è andato oltre a raccontare quello che fa lui e l'organizzazione a cui appartiene, e come sia importante diffondere informazioni nel mondo sulla situazione reale. Alla fine hanno chiesto se qualcuno aveva delle domande. Ne avevo almeno dieci, ma ho trovato il coraggio di farne una solo all'ultimo. Una domanda complessa, la situazione richiede complessità, mentre fin lì tutto era stato per necessità molto semplificato. Ho fatto una premessa: ognuno vive in una sua bolla mediatica e interessandosi di Palestina il famoso "algoritmo" ti propone questo argomento sempre di più finché quasi non riesci a evitarlo, ci sei immerso. Altri vedono sui social media altri panorami e alcuni la Palestina non la vedono affatto. Tuttavia circolano moltissime informazioni sulla Palestina, molte arrivano direttamente su Instagram, gente che vive lì e mette in rete filmati fatti da loro sugli attacchi quotidiani dei coloni. (Ieri sera durante questo incontro ne hanno fatto vedere uno girato il giorno prima. Sarebbe importante mettere la data per avere un riferimento certo, data e luogo in cui sono stati realizzati, per avere una documentazione coerente e non una massa di dati a caso, che possono essere ripetitivi o falsi, ma questo non l'ho detto) Poi ho citato come esempio le informazioni ultime che sono state diffuse sulle violenze e gli stupri fatti nelle prigioni israeliane ai danni di prigionieri palestinesi, maschi e femmine, con vari mezzi, bastoni e anche con i cani. (il che dice quale rispetto portino anche agli animali, ma anche questo non l'ho detto). La domanda era: come può tutta questa enorme mole di dati non arrivare in Israele neanche di rimbalzo? Come può esistere una bolla mediatica così robusta da escludere questi contenuti?
Il signore ha risposto dicendo che lui non usa Instagram, che forse è troppo avanti con l'età per quello, che si deve distinguere fra notizie vere e false, le famose fake news, mettendo forse in dubbio che fossero vere le notizie sugli stupri, e che loro lavorano per l'amicizia e l'unità fra i due popoli, ripetendo quello che aveva detto in precedenza.
In sostanza non ha risposto alla domanda. Premetto che apprezzo moltissimo quello che queste associazioni fanno e quello che fa questo signore che ha ribadito l'importanza della sua amicizia con i palestinesi e in particolare con quello che aveva esaurito la sua disponibilità giornaliera di energia elettrica e non poteva più parlare. C'è stata un'ultima domanda, non mia, sulle manifestazioni di protesta in Israele che prima dell'ultima riconsegna degli ostaggi avevano raccolto più di un milione di persone e ora pochissime. Forse con la riconsegna degli ostaggi l'interesse degli israeliani è finito? Il signore israeliano ha riconosciuto che è così e che ringraziava per le domande, che era lì per rispondere e che bisognava continuare a parlarne qui dove siamo. La traduttrice ha poi sottolineato la necessità di evitare l'antisemitismo, e non ho potuto evitare di pensare che avesse considerato "antisemite" le domande "scomode" che avevamo posto. Sono uscita dall'incontro con la solita sensazione di scomodità, stare scomoda nei miei stessi panni, dovuta al fatto che mi sento sempre inadeguata, anche se la parola non mi piace.
Mi sono chiesta se potesse essere vero che le notizie sugli stupri che avevo citato fossero false, a casa ho controllato in rete, sembrano autentiche, acquisite dall'ONU, perché verrà un giorno in cui qualcuno dovrà renderne conto. Poi naturalmente c'è il fatto che Israele considera forse anche l'ONU un'organizzazione terroristica pro Hamas e allora...
Mi sono anche chiesta se avrei dovuto tener per me la domanda e restare nel clima, che descriverei "democristiano" , di lasciare tutto com'è, buone azioni e buoni sentimenti e la realtà vista solo fin dove non fa male. Forse, mi dico, non so ancora stare al mondo.
In ogni modo l'incontro non è stato tanto rasserenante, non quanto si proponeva, d'altra parte questa realtà che viviamo non è rasserenante per niente e gli israeliani, anche i migliori, non la vogliono vedere tutta, deve far troppo male e porre domande troppo fondamentali.
In tutto questo al solito, come dicono diverse donne, Suad Amiry e Susan Abulhawa e Rula Jebreal, la lingua usata nell'incontro è stata l'ebraico, lingua inventata alla creazione dello stato di Israele, e l'unico palestinese è stato presente solo per un po'. Narrazione israelocentrica, si dice. Evidentemente non si riesce a fare diversamente, i palestinesi non hanno abbastanza tecnologia e energia per farsi sentire. Gli si è tolta la voce.